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Cont i scarp del tennis (specie le Ursus) non si gioca a tennis

Fonte:
CulturaCattolica.it

"...l'hann guardàa
e 'l pareva nessun
"

Una delle canzoni più antiche e famose di Jannacci è certamente El portava i scarp de tennis. Protagonista un barbone: o meglio, lui, i suoi occhi, il suo grande amore che anca lu ci aveva avuto… e le sue scarpe, de tennis per l’appunto.

IL LAMBRO NON È LA SENNA… - Qui c’è da dire subito delle cose senza cui non si capisce. Prima cosa, il barbone non c’entra nulla con il clochard. Atacco al Lambro, dove questo attraversa il stradone per andare a l’Idroscalo, l’umanissima dimessa e concreta roba minima del marginale lombardo, che fa il bagno. Sur le banques de la Seine, che figuriamoci se non lambisce il Louvre e contorna l’Ile de France, parbleu, la romanticissima ostentata e idealizzata controfigura dell’esistenzialismo ideologico, tipo Sartre, che tra l’altro non si sogna neanche di fare il bagno. Talché finisce che barbòn viene a far rima con du oeucc de bòn, mentre clochard fa rima – che so? – mettiamo con Godard, che è come il Sartre dietro una cinepresa… Insomma, tutta on altra roba.

E IL CLOCHARD E’ UN PO’ SNOB - E poi, che scusée, il clochard cosa calza ai piedi? Mai saputo. Eh già, per gli esistenzialisti ideologici tutto jeans e maglione nero ciò non è rilevante, tanto loro caso mai i clochard li fanno andare a piedi nudi, come si conviene a delle controfigure agit-prop delle istanze intellettual-libertarie, tipo Sandy Show, chi la ricorda? Si sa benissimo invece del barbon cosa calza: scarp de tennis, no?
Mettiamola così: il barbon l’è on barbòn, il clochard l’è un snob, insomma un poo on fighetta. Uno i pantaloni ce li ha coi buchi per gli anni di sdruscimento, l’altro perché li compra a caro prezzo coi buchi già fatti.

TENNIS ROBA DA SCIURI E DA GUIDO ODDO - E qui arriva la seconda serie di cose che si deve sapere. Di cui, primo: negli anni del dopoguerra del secolo scorso, e immediati successivi fin quasi al ’68, i scarp del tennis non servivano affatto per giocare a tennis. A tennis giocavano i ricchi, pochissimi, gli altri no. Gli altri guardavano Pietrangeli e Sirola, in bianco e nero, ma poco male, tanto erano vestiti con maglietta calzoncini e scarpette bianche, mica colorate, ed era in bianco e nero anche la soporifera telecronaca di Guido Oddo. E poi, nei nostri paesi, c’erano neanche i campi di tennis, quelli in terra rossa. Tartan e linoleum nemmeno si sapeva che esistessero. Per l’erba verde, solo Wimbledon, ma chi conosceva l’inglese?

MACCHÈ SUPERGA, URSUS! - Dicevansi nel linguaggio comune scarp del tennis le scarpe da ginnastica, o scarp de pezza, o scarp de tela, e le mettevano i ragazzi: di ogni ordine e grado. Pezza e gomma: blu la tela, bianco il pvc (inventato dalla fatica italica nei tempi autarchici del Duce, se la tengano loro gli inglesi e i mericani la loro gomma della Goodyear), il quale pvc, o gomma italiana, era materia per suola, tacco (appena accennato), puntale e – nel caso la scarpa non fosse bassa ma polacchina tipo all-stars per il basket – dischetti paracaviglie. Per i pochi ricchi che giocavano a tennis (“palla”… “scusa” … “palla”… “scusa”…è il tennistically correct, bellezza) c’erano le piemontesi Superga, tela di vero cotone bianco spesso e sfoderato e suola in caucciù arancione, che quando Jannacci ha scritto la sua canzone (1964) potevano costare anche 4000 lire, un occhio della testa, ma facevano più figo specie se arrossate di terra battuta, e poi vuoi mettere? il piede respira. Invece le Ursus, produzione di Vigevano, quando la città sul Ticino (macché Senna!) vantava 300 calzaturifici e zero librerie, come computò Giorgio Bocca, costavano 1800-2500. Il piede non respirava… risparmiava.

LA SCARPA-FERODO DEL CICCIARELLA - Le Ursus portavano tutti i ragazzi, ma proprio tutti (nel ’55 – ’60 la produzione arrivò a 13 milioni di paia in un anno). Servivano a: giocare, correre, tirar calci al pallone, saltare in lungo, saltare in alto ventrale o a forbice, andare all’oratorio, andare a scuola, bigiare la scuola, arrampicarsi sugli alberi da frutta a scopo di furto della frutta, arrampicarsi sugli alberi non da frutta a scopo conquista di nidi di uccelli; d’inverno servivano anche per le gare di scivolata sui rustici patinoir di ghiaccio ricavati a pestoni nei viottoli o ai margini nei prati. Tal Cicciarella, poi, che non si seppe mai se è il cognome o un soprannome, usava le Ursus del tennis tipo ferodo. Sì, per frenare. Spiego: aveva la bici da corsa (del 24, chi non capisce amen), manubrio basso a corna di bovino e niente parafanghi, e pure niente freni. Oggi si direbbe una bici minimalista. Il rallentamento e l’arresto dei ciclo venivano ottenuti dal Cicciarella stendendo la gamba destra all’indietro al di sopra della ruota posteriore, e imprimendole una giusta torsione in modo che il collo del piede risultasse rivolto verso il basso, posizione giusta perché potesse all’occorrenza premere contro il battistrada del copertone con la tomaia della scarpa telata, come appunto una ganascia col suo ferodo contro il tamburo. Questa pratica esigeva naturalmente una certa abilità, e all’oratorio Cicciarella ne aveva sviluppata tanta quanta Rivera e Corso nel dribbling. L’inconveniente era che affrettava l’usura delle Ursus, aggiungendo al naturale consumo della suola, provocata dal camminare, e della punta, provocata dai calci al pallone, anche quella della tomaia usata appunto alla maniera che ho detto.

ROBA DE BARBON - Tutto ciò a buon conto non riguardava gli adulti. Tranne i barboni.
Perché le scarpe del tennis, da grandi, le mettevano solo i barboni. Era roba kitch, che ridere. Il fatto è che costavano poco e facevano meno male ai calli di quelle di cuoio, del povero cuoio duro dei poveri. E il barbone non stava mai fermo. Doveva muoversi, camminare e camminare per trovare da mangiare. E poi le Ursus si potevano rimediare anche di seconda mano.

(continua)

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