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"El portava i scarp del tennis" - 2

Fonte:
CulturaCattolica.it

I OEUCC DE BON - Erano buffi e ridicoli mendicanti, i barboni. E visti da lontano ci facevano, a noi bambini, anche un po’ paura, ci apparivano bizzarri e truci come streghe. Ma poi grazie ai costumi lombardo-cattolici delle nostre famiglie, anche quelle di comunisti, ci frequentavano: gli aprivamo la porta di casa, specie d’inverno, gli offrivamo una scaldata di mani alla stufa o al termosifone; ed essi sedevano alla nostra tavola, con noi, per lo stesso piatto di minestra. E così noi bambini, in casa nostra, li vedevamo in faccia, questi barbòn, li vedevamo negli occhi. Ed erano oeucc de bon. Nel caldo della zuppa e nel tepore della stufa, vedevamo proprio per davvero i loro oeucc de bon. Incoraggiava all’accoglienza anche il fatto che essi non si presentavano troppo frequentemente alla stessa porta: per non rompere i coglioni. Per converso, non erano pochi quelli che nel paese o nel quartiere li accoglievano per un piatto caldo o almeno gli davano qualcosa, cosicché questi (pochi) barboni godevano di un discreto turn over della carità.

UN BARBONE VERY POLITE - Il barbone era educatissimo e discretissimo. Se un barbone aveva un comportamento men che educatissimo e un po’ sghembo era perché non aveva tutte le rotelle a posto, e quindi lo si compativa con qualche scherno innocente e molta pazienza. Ma da parte loro niente petulanza, niente stalking da lavavetro a tutti i costi, o da dammi l’euro del carrello come se un euro non fosse niente, che poi c’è la crisi e la cassa integrazione a zero ore e tutto il resto.

CUCINE OSPITALI – Va anche detto che non era solo il senso di solidarietà e di carità a permettere l’accoglienza del barbone. Era anche che le cucine delle case operaie o contadine, pur modeste e anche povere, consentivano di farci stare la tavola per il desinare e anche di aggiungere un posto a tavola. Cucine sobrie a misura di famiglia e di ospitalità, mica quelle prese per i fondelli chiamati angoli cottura dove al massimo ci sta il gatto, o il cagnolino col cappottino da deficientino, lui e il suo padroncino deficientone, o al massimo la famiglia formato mignon, genitore singolo e mezzo figlio unico part-time, appollaiati entrambi su trespoli da bar, che è come stare in piedi però con il design trendy sotto le chiappe.

IL PASTACALDA - “Se vuol restare servito”…, espressione che – come scrive anche Manzoni nel suo romanzone, è sincera usanza del popolo lombardo rivolgere al forestiero, quandanche la tavola offrisse solo due rape e un po’ di polenta e il forestiero fosse putacaso un principe. Figurarsi uno come il Pastacalda… Chissà qual era il suo nome. Arrivò la prima volta a una tavola ospitale, papà operaio mamma sartina e casalinga sui 40 anni e tre bambinetti, infreddolito come un costone di verza dal gran girovagare nella nebbia fredda di quell’inizio dicembre. Caloriferi bollenti riscaldavano casa e cuore e l’uomo, ringraziando sì, sinceramente, ma senza far troppi complimenti e moine si accomodò alla mensa, a suo agio come un cugino primo, toh, e lasciando che il fragore da Cascata delle Marmore con cui sorbiva quel bel minestrone dicesse meglio delle parole piena soddisfazione e somma gratitudine alla cuoca e all’ospitalità. Gratitudine che tuttavia, appena la bocca fu per un secondo libera (e un po’ scottata) si sentì in dovere di esplicitare con un profondamente sospirato “ahhhh, che bella pasta calda”. Sospiro che gli fruttò il nomignolo imperituro di Pastacalda, per tutti i secoli dei secoli, amen. Egli, lì così, si sentiva… ecco, qualcuno.

UN “IO” SOTTA A ON MUCC DE CARTON- Ma se non fosse stato accolto, e così semplicemente abbracciato, il Pastacalda? Se su di lui ci fosse stato un altro sguardo, quello freddo e indifferente di chi il massimo di contatto con la carne del povero che è la carne di Cristo come dice papa Francesco, sono due euro via sms, neanche tirati fuori dalla saccoccia ma tutto via virtuale? “L’han guardàa, el pareva nissùn…. Lassa stà che l’è roba de barbòn”. Eccolo qui il poeta geniale che è Jannacci. Il barbone mendicante è la periferia dell’umano, sul stradon per andare all’Idroscalo, sotta a on mucc de cartòn, dove… c’è l’uomo, anzi, diciamo meglio, l’io: cioè l’uomo che non ha sepolto la sua strutturale mendicanza sotto il borghesismo della riuscita e del riconoscimento sociale ma che sta, nel suo limite e nella sua goffaggine, sta, in quanto mendica, domanda, in quanto è tutto e solo bisogno e domanda di uno sguardo totalmente buono.

PERCHÉ NESSUNO SIA NISSÙN - Una delle invocazioni dei fedeli, ai funerali di Jannacci in Sant’Ambrogio, suonava esattamente così: “L’han guardàa, el pareva nissùn… perché non guardiamo più gli altri come fossero nessuno ma ci accorgiamo di quanto ognuno sia qualcuno, noi Ti preghiamo”.

PS - UN COMICO VISTO DI SPALLE - Già ma la canzone fa ridere, è piena d’ironia. Beh? L’ironia, come un vero buon frizzo, rileva con misericordia l’insufficienza e la sproporzione degli uomini rispetto alla perfezione del compimento. E’ rapporto con una positività intuita e almeno implicitamente desiderata, roba seria, insomma. Niente a che vedere con lo sbeffeggio come forma di lotta contro il nemico. Occhio a come spiegò la cosa Jannacci: “L’ironia va maneggiata con leggerezza: odio chi la fa tracimare nel sarcasmo come arma per offendere gli altri. Del resto un comico è un tragico visto di spalle, come disse Molière”.

EL PORTAVA I SCARP DEL TENNIS (1964)

Che scuséé, ma vi voeuri cuntàv
d'on me amis che l'era andàa a fà 'l bagn
sul stradon per andare a l'Idroscalo
l'era lì, e l'amore lo colpì-
El portava i scarp del tennis, el parlava de per lu
rincorreva già da tempo un bel sogno d'amore
El portava i scarp del tennis, el gh'aveva du oeucc de bon
l'era el primm a menà via, perchè l'era on barbon

On bel dì che l'era adree a parlà
de per lu, l'aveva vista passà
bianca e rossa che pareva il tricolore
ma poeu lu l’è staa bon pu de parlà.
El portava i scarp del tennis, el parlava de per lu
rincorreva già da tempo un bel sogno d'amore
El portava i scarp del tennis / el gh'aveva du oeucc de bon
l'era el primm a menà via, perchè‚ l'era on barbon

On bel dì, vesin a quel por diavol chì gh'è lì ona machina, vegn giò vun, el ghe domanda: “Ohè”
- "A mi?".
- “Sì, a lu, Dove si va, dove si va per piacere per andare all'aeroporto Forlanini?”
- “El so no dove l'è”.
- “La strada per andare all'Idroscalo almeno la conosce?”
- “Sì, l'Idroscalo el so dove l’è, el compagni mi a l'Idroscalo. Vegni su su la machina con lu. Che bèlla machina, propi bèlla... Ferma signore, ferma, che mi sont rivàa, sont rivàa all'Idroscalo, che ‘l me lassa giò chi...
un piasè, che 'l me lassa giò chi,
che anca mi, mi gh'hoo avuu il mio grande amore
roba minima, s'intend, s’intend roba de barbon
El portava i scarp del tennis, el parlava de per lu
rincorreva già da tempo un bel sogno d'amore
El portava i scarp del tennis / el gh'aveva du oeucc de bon
l'era el primm a menà via, perchè l'era on barbon

L'han trovaa sota a on mucc de carton
gh'han guardà, e 'l pareva nissun
l'han tocàa, e pareva che 'l durmiva
lassa stà, che l'è roba de barbon
El portava i scarp del tennis, el parlava de per lu
rincorreva già da tempo un bel sogno d'amore
El portava i scarp del tennis / el gh'aveva du oeucc de bon
l'era el primm a menà via, perché‚ l'era on barbon

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