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Torah e Vangelo 3 - La pretesa dei Farisei/la questione dei diritti umani

Autore:
Laguri, Innocenza
Fonte:
CulturaCattolica.it

Circa lo sviluppo della storia della Legge Guardini, pur non partendo dalla distinzione ratzingeriana tra diritto casuistico e apodittico, fa interessanti osservazioni: in un primo tempo la Legge serve, se vissuta con coerenza, a liberare Israele dal contesto idolatrico in cui era immerso, in quanto dappertutto si ergevano i comandamenti del Signore in modo che in ogni momento della sua vita il popolo si potesse imbattere in Dio. Tuttavia la Legge serviva anche a far sperimentare al popolo il proprio umano fallimento, così che esso maturasse lentamente e divenisse pronto ad accogliere il Messia. Invece il popolo trasse dalla Legge una pretesa di grandezza e spesso la volontà di imporre la Legge da parte di Scribi e Farisei si oppose alla libertà di Dio, essa però parlava nei Profeti. L’orgoglio della legge permise a Israele, sotto il fallimento politico, cioè sotto i dominatori greci e romani, di contrapporsi culturalmente ma perse vitalità, divenne esteriorità, formalismo e anche ipocrisia. Gli ebrei, attaccati in questo modo alla Torah, criticarono Cristo; davanti a Pilato, ricorda Guardini, i Farisei dissero: ”Abbiamo la Legge e secondo questa il Cristo deve morire”. Questo tipo di attaccamento alla Legge, osserva Guardini, è sempre in agguato: “Non appena sussistono una consapevolezza di fede che ha notizia d’una pura dottrina e una autorità che interviene per essa, sorge il pericolo dell’ortodossia, quell’orientamento, cioè, il quale ritiene che il mantenere ferma la retta dottrina rappresenti già la salvezza e, per amore della purezza della dottrina, fa violenza alla dignità della coscienza morale. Non appena sussistono una regola stabilita per la salvezza, un culto e un ordinamento comunitario, sorge il pericolo di pensare che la loro esecuzione precisa costituisca fonte di santità di fronte a Dio.” (Il Signore, pag. 227)

Circa il lavoro della cristianità nella dialettica diritto casuistico-diritto apodittico
Premesso che le varie epoche storiche testimoniano questa dialettica, una suggestione interessante è contenuta nel breve excursus fatto da Ratzinger nel famoso discorso al Parlamento tedesco, nel quale nota che, a metà del secondo secolo precristiano, si è avuto un incontro tra giuristi romani e diritto naturale sociale sviluppato dalla filosofia stoica; ora, poiché i cristiani non hanno mai imposto un diritto rivelato, hanno valorizzato questo incontro tra filosofia e diritto; da qui è venuto fuori tutto il processo che passa per l’Illuminismo e per i diritti universali e che parla di diritto naturale.
Sulla base della convinzione filosofica circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire. Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza. La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa. Nella consapevolezza della responsabilità dell’uomo davanti a Dio e nel riconoscimento della dignità inviolabile dell’uomo, di ogni uomo, questo incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali, secondo il Papa, è nostro compito in questo momento storico. Questa responsabilità va avvertita davanti a quello che è avvenuto negli ultimi 50 anni, in cui si dice che il diritto naturale è solo questione cattolica, perché si è imposta la ragione positivista che valuta solo ciò che è funzionale.

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