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Genitori in giudizio. La lezione di "Kramer contro Kramer"

Fonte:
CulturaCattolica.it
Riprendo e concludo, per ora, l’esame dei rapporti tra famiglia e diritto, già svolto in questa rubrica negli articoli Così parlò Salomone e Il cerchio di gesso del Caucaso (luglio e agosto scorsi).

Dopo più di trent’anni, un film pluripremiato quale Kramer versus Kramer (1) (undici nomination e ben cinque Oscar) si rivela ancora istruttivo. Per dirla molto francamente, oggi come oggi, dentro e fuori le aule dei tribunali, assistiamo a battaglie senza esclusione di colpi molto più feroci a paragone di quella dei protagonisti del film, Joanna e Ted. Il film, che si apre con la scena della donna in procinto di lasciare il marito e il figlio dopo quasi dieci anni di matrimonio, mostra in modo impeccabile una serie di scene della vita quotidiana tra padre e figlio. Memorabile la preparazione dei toast alla francese per la prima colazione: un disastro la prima mattina, un successo dopo un anno e mezzo di vita a due, cui essi non vorrebbero più rinunciare. Molto efficaci anche la corsa in ospedale dopo l’incidente occorso al bambino nel parco, o le confidenze serali del piccolo al papà. Anche quando Billy (sette anni) chiede angosciato: «Per questo la mamma se ne è andata, perché sono cattivo?», il padre si mostra capace di interloquire con lui, non teme di accostarne i pensieri e riesce a guadagnarne la piena fiducia. In una parola, Ted Kramer in certo senso si sdoppia, inventandosi un ruolo di avvocato del proprio figlio e restando immune da ogni operazione di squalifica della madre presso il piccolo.
Le cose, di solito, vanno molto diversamente. Basti pensare alla crescente casistica annoverata come sindrome da alienazione parentale (PAS) (2) , in cui un coniuge usa il figlio come oggetto contundente contro l’altro coniuge.
Joanna Kramer, al termine della sua deposizione in aula, ripete più volte la frase «sono sua madre». Ha lasciato marito e figlio, si è trasferita da Manhattan a Los Angeles, ha ripreso a lavorare, si è affidata alle cure di uno psicoterapeuta: tutto per ritrovare se stessa. Che vuol dire dunque «sono sua madre»? L’affermazione suona come una pretesa e svela la tentazione di questa donna, che considera l’essere madre come una proprietà ontologica. Madre è invece il nome di colei che tratta il bambino favorendolo nel suo pensiero e nei suoi moti.
Il critico cinematografico Paolo Mereghetti muove un rimprovero al film. A suo giudizio, esso «evita, in nome di una obiettività non sempre corretta, di prendere posizione per uno dei personaggi e di affrontare le situazioni realmente sgradevoli che pure la storia poteva prevedere.»(3) Vero. Tuttavia trovo che il film possa dispensare una lezione, o meglio indicare una via percorribile. Regista e sceneggiatore hanno scelto di rappresentare i due coniugi esenti da un duplice peso:
1) il loro conflitto, qui appena accennato, non entra in risonanza con altre conflittualità con i rispettivi genitori mentre, almeno nella realtà familiare più tipica nel nostro Paese, i nonni del minore entrano in causa, eccome! Spesso essi moltiplicano gli attacchi, talvolta con cecità e grettezza. Le perizie psicologiche lo documentano in modo ingente.
2) I signori Kramer mostrano di non cedere al diritto statuale l’intera titolarità del giudizio circa il loro rapporto coniugale. Essi si regolano secondo un meditato giudizio circa l’andamento delle relazioni: l’ex-marito rinuncia a ricorrere in appello non appena l’avvocato lo informa che ciò comporterebbe l’audizione del minore in aula; per parte sua, l’ex-moglie rinuncia motu proprio all’affidamento del figlio, che pure ha ottenuto, quando capisce che il piccolo sta bene dove sta, cioè con suo padre.
Il giudizio mantiene la scena dall’inizio alla fine del film, e si tratta di stima reciproca da parte degli ormai ex coniugi. Così nell’ultima scena: Joanna è in ascensore, di lì a poco dirà al figlio che può rimanere con il papà; è confusa e tra le lacrime chiede all’ex-marito: «Come sto?». «Terrific!», «Sei fantastica!», risponde lui. Ognuno per la sua strada, i due amministreranno le loro relazioni con il figlio aldilà delle carte e degli avvocati. Caso raro di separazione consensuale riuscita: vediamo in azione un primo diritto (4) sovrano tanto quanto quello statuale. (5)

NOTE
1. Kramer versus Kramer, USA 1979, regia di R. Benton, con Maryl Streep e Dustin Hoffman, tratto dall’omonimo romanzo di Avery Corman del ’77.
2. Da più di un decennio esiste una vasta letteratura sulla PAS. Un’esauriente trattazione si trova in: G. Gulotta, A. Cavedon, M. Liberatore, La sindrome da alienazione parentale. Lavaggio del cervello e programmazione dei figli in danno dell’altro genitore, Giuffrè, 2008.
3. Mereghetti prosegue: «Così i confitti si fermano sempre un attimo prima del dramma e la sceneggiatura viene come devitalizzata da un eccesso di sentimenti “nobili”, capaci di non ferire né il pubblico femminile né quello maschile né i moralisti.», Il Mereghetti. Dizionario dei film, Baldini Castoldi Dalai editore.
4. Traggo l’idea di primo diritto da G.B. Contri. Il tema è trattato, ad esempio, nel suo volume Il pensiero di natura, Sic Edizioni 1994, 2006, pagg. 305-308 e passim; e ne L’Ordine giuridico del linguaggio. Il primo diritto con Freud o la vita psichica come vita giuridica, Sic Edizioni, 2003, pagg. 117-122. Si veda anche l’articolo apparso sul blog Think! del 10 settembre scorso: Il semaforo rosso, http://www.giacomocontri.it/BLOG/2012/2012-09/2012-09-10-BLOG-semaforo%20rosso.htm.
5. Il presente articolo e i due precedenti sono rielaborazioni di parte di un mio saggio: Da Salomone alla Convenzione di Strasburgo, pubblicato in Minori in giudizio. La convenzione di Strasburgo, a cura di Giulia Contri, Franco Angeli, gennaio 2012, pagg. 159-174.


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