Che cosa chiedono i giovani alla scuola? - Lettere a un insegnante 1
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"Caro Franco,
mi è sorta una domanda e cioè: se il nostro desiderio è così grande e illimitato allora perché nessuno ne parla? Perché si parla di tante cose stupide al mondo? Perché si preferisce fare a gara a vedere chi ha argomenti più stupidi da tirare in ballo, invece che parlare di cose serie? Sarà che parlare di verità scomode e che fanno riflettere è compito solo di chi può sopportare un confronto con la realtà? In merito a questo l'altro giorno parlando con mia sorella le ho chiesto : ma qualche tuo professore parla mai con voi dei vostri desideri, sogni, paure? La sua risposta è stata: certo, tutti si preoccupano di come stiamo in questa scuola, e tutti i nostri professori mirano a farci raggiungere una conoscenza elevata delle materie che spiegano. Mi è venuto spontaneo risponderle che in realtà nessuno dei suoi professori è realmente interessato al suo futuro dopo la scuola, perché tutti si preoccupano solo di far imparare a memoria poesie, frasi importanti, date storiche, ma nessuno si prende la briga di insegnare la cosa più importante al mondo, cioè conoscere se stessi. Le stanno insegnando a sopravvivere, ma nessuno le insegna davvero a vivere, e vorrei farlo io, ma ammetto di non esserne capace perché io per prima devo ancora conoscere molte cose di me stessa e della realtà che mi circonda. Forse è per questo che a nessuno viene in mente di chiedersi dove sta andando la mia vita ora? Dove andrà in futuro? Perché ci vengono date istruzioni su come comportarci a scuola, nel mondo del lavoro, con gli amici, coi genitori, col ragazzo e la ragazza e uno vive pensando che questo gli basti per vivere, che la sua vita si limiti a quello che c'è all'interno di un determinato ambiente e il mondo fuori non è reale, che parlare di sogni e desideri è roba per poeti ed è meglio parlare di cavolate, è meglio imparare a sopravvivere piuttosto che vivere davvero. Sai, a volte mi sento proprio fuori posto, perché io tutti i giorni mi alzo chiedendomi che cosa ne sarà un giorno della mia vita, un domani che futuro avrò, ma la risposta che ricevo è sempre la stessa: lascia stare e vivi come capita, quello che arriva arriva e se non arriva pazienza. Vivere così è come alzarsi tutte le mattine, guardare fuori dalla finestra di casa e vedere solo un muro di cemento armato davanti al vetro, pensando che quello che c'è al di là non sia reale, è come andare in giro di notte in una strada buia senza preoccuparsi di accendere una luce. Vivere così è sopravvivere, ma le persone hanno bisogno di saper vivere".
Ricevo questo bellissimo scritto da una mia ex alunna, mi colpisce moltissimo la prima domanda: "Se il nostro desiderio è così grande e illimitato allora perché nessuno ne parla?"
Mi sono venute in mente immediatamente alcune parole di un mio grande maestro che diceva: siamo immersi in una cultura che vuole che non pensiamo, il potere ha organizzato una società dello spettacolo, in cui l'importante è divertirsi, è la teoria dello schiavo felice. Tutte le parole vere sono state falsificate. Ad esempio essere felici, come appare dai personaggi della pubblicità, significa essere "gasati", eccitati, provare forti emozioni, ridere, non pensare. L'amore è inteso in senso supersentimentale, significa provare forti emozioni, è ridotto a piacere, possesso dell'altro, sesso.
L'esito di questa cultura del nulla, di questo vuoto di proposta e dell'assenza di educazione è sotto gli occhi di tutti: superficialità, distrazione, delusione, tristezza, estraneità camuffate da una finta gioia.
La mia ex alunna dimostra di aver individuato il problema che sta a monte di questa situazione quando chiede alla sorella: "Ma qualche tuo professore parla mai con voi dei vostri desideri, sogni, paure?" La risposta è l'indice della debolezza o dell'assenza di una proposta educativa: "Tutti i nostri professori mirano a farci raggiungere una conoscenza elevata delle materie che spiegano". Non una scuola come introduzione al senso, al significato della realtà, non una scuola come scoperta del bello, del vero, del giusto, del bene, ma una scuola ridotta a fornire competenze, abilità, strumenti; non una scuola in cui avviene l'incontro fra l'umanità, l'esperienza dell'insegnante e l'umanità e la domanda dello studente, ma la scuola come agglomerato di incontri casuali.
Totalmente diversa è la situazione di un giovane che incontra qualcuno che lo aiuta a tener vivo il desiderio di felicità, di compimento, a tener vivo il nesso con la realtà, a guardare al fondo del reale e a lottare contro la cultura del nulla.
Occorre l'incontro con qualcuno che ti dice: "Non puoi negare che il volto della persona amata ti attiri, che la bellezza del cielo stellato ti affascini, che vivere un gesto di totale gratuità o riceverlo colpisce, che perdonare o essere perdonato è quel che più desideri, che il sorriso di un bimbo o la voglia di vivere di una persona anziana o malata, ti apra il cuore alla speranza".
Negli scorsi giorni abbiamo vissuto dei terribili eventi, basti pensare ai tragici fatti di Parigi, alle guerre, alle stragi di innocenti, alla violenza del terrorismo, ma tutto ciò non riduce la positività del reale, o l'evidenza che l'uomo è fatto per la felicità, non uccide il desiderio e la domanda, l'attrattiva del reale.
Ecco allora di nuovo la grande urgenza dei nostri giorni: l'educazione, che sostenga uno sguardo semplice, leale sulla realtà, prima di tutto su di sé, che aiuti ad andare al fondo di ciò che appare, per scoprire il mistero profondo che l'origina e lo sostiene, il "più in là" di cui parla la celebre poesia di E. Montale.
La condizione perché questo accada è che ci siano adulti che vivano in prima persona la domanda di senso, di significato, di bello, di bene, di vero presente nel loro cuore e che questa domanda la giochino nei rapporti e in quello che insegnano.
Mi viene in mente un esempio tratto dalla mia esperienza educativa: quando parlo della poesia di Giovanni Pascoli, leggo sempre una poesia poco conosciuta intitolata "In cammino". In quel testo Pascoli evoca l'uomo che cammina nella notte, nella nebbia ed è tentato di disperazione, di interrompere il suo cammino, di dire che la luce, il bello e il vero non esistono, che tutta la vita dell'uomo è avvolta dalle tenebre del non senso. Ma improvvisamente il grido di uno stormo di gru che volano sopra la nebbia lo induce a pensare che più in alto, oltre la nebbia, c'è il cielo stellato, allora riprende il cammino, seguendo quel suono che svanisce in lontananza. Il cuore dell'uomo segue quel suono che squarcia la nebbia e si perde "laggiù" e sogna le stelle che brillano più in alto, segno e richiamo certo di un destino buono e luminoso, di una promessa di felicità
Concludo la mia spiegazione ai ragazzi dicendo che questa è la conferma che il poeta è sempre profeta del desiderio dell'uomo, infatti non riesce a negare l'evidenza o la domanda di una positività, malgrado le sue scelte, le sue idee, malgrado le circostanze drammatiche della propria vita e della storia.