Che cosa chiedono i giovani alla scuola? - Lettere a un insegnante 2
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Questo è quello che gli studenti chiedono ai professori. Ne ho avuto conferma leggendo questa mail che ho ricevuto da una studentessa: "Noi desideriamo solamente capire di più noi stesse e so che anche gli altri della classe cercano questo, anche se magari sono rassegnati, o non sanno come fare perché non sanno dove guardare e quindi sono stanchi e annoiati. Mi sono accorta che tutto quello che sono riuscita a rendere mio di quello che insegna un professore io l'ho riconosciuto come qualcosa di importante e nuovo per me perché lui mi ha comunicato come quell'autore o quella poesia sono segno di qualcosa di grande innanzitutto per lui. Per capire dove cercare nelle cose che studio ho bisogno innanzitutto che il prof mi faccia vedere dove e cosa lui ha cercato e su cosa per lui vale la pena porre attenzione, insomma che mi indichi ciò che lui ha trovato, dove lui ha riconosciuto ciò che corrisponde a sé e alla sua domanda. E' difficile altrimenti capire dove guardare, a cosa porre attenzione, cosa val la pena ricordarsi, soprattutto per ragazzi che magari non sanno neanche cosa vogliono. E' facile arrivare al massimo a dire che una poesia è bella, ma ci si ferma lì. E' per questo che si diventa annoiati, stanchi e lo studio appare come un dovere di cui si farebbe a meno. La scuola invece diventa bellissima quando i prof ci educano a guardare a una poesia, alla filosofia, all'arte o anche a una legge fisica non semplicemente come viene descritta nei libri di testo, ma alla luce di quello che di grande hanno riconosciuto in un testo come corrispondenza al loro cuore. Quando questo avviene riconosco nell'insegnante lo sguardo di chi sa che la vita è una promessa, che c'è qualcosa di più grande della scuola (perché l'errore che molti fanno alla nostra età è pensare che la vita sia la scuola) e cerca di comunicarcelo... Il cuore del professore è esattamente uguale al nostro, desidera la stessa cosa, siamo insieme alla ricerca di ciò che corrisponde al nostro desiderio".
Poi parla dell'importanza per la scoperta di sé delle ore passate a scuola con dentro la tensione alla conoscenza di sé e del reale e del ruolo decisivo del rapporto con l'insegnante. "La maggior parte dei miei compagni non hanno una compagnia di amici che li aiuti a guardare la realtà e le materie con un giudizio, confrontandole con le loro domande; alcuni non sanno nemmeno definire la loro domanda, il loro desiderio e cadono nella noia e nella frustrazione. L'insegnante dovrebbe fare questo lavoro innanzitutto per se stesso, per scoprire qualcosa di nuovo per lui, noi ragazzi poi magari ci arriviamo, magari no, magari tra un po’, non ha importanza. Ma vale la pena provarci innanzitutto per la persona stessa dell'insegnante e inizialmente per quei tre o quattro ragazzi che hanno intuito quello che desiderano".
Da queste parole appare chiara la condizione per cui un insegnante può educare i ragazzi alla scoperta e alla conoscenza di sé, questo succede se in prima persona lo desidera per se ed è disposto e deciso a giocare le grandi domande del suo cuore per andare fino in fondo al significato della materia che insegna e se vive un'amicizia, una "magisterialità" che lo provoca e lo educa continuamente a realizzare questo paragone fra sé e quello che insegna.
E' questa la condizione per comunicare un'esperienza e un'ipotesi esplicativa, conoscitiva del reale. Un adulto così è il vero attore dell'educazione: solo attraverso una proposta chiara, affascinante, decisa che si propone nel rapporto coi ragazzi e nel lavoro di apprendimento quotidiani, i giovani sono aiutati a conoscere e a diventare se stessi, imparano dove guardare e che cosa val la pena guardare, trovano quella guida indispensabile per navigare verso la meta del loro cammino umano, in un mare in tempesta, come quello dei nostri giorni.