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Diario di scuola 2: quelli del carpe diem

che non si sentono cibo per vermi


Ho appena terminato il mio orario e, mentre sto andandomene, mi arriva a bruciapelo la proposta di una supplenza in una classe che non è la mia. Rispondo che non posso. Poi ci ripenso (ho un’ora da recuperare) e vado.

Seconda liceo linguistico, gruppo vivace, molto vivace (saprò alla fine dell’ora, ma solo alla fine, che i colleghi faticano non poco con questi ragazzi). M’informo sul programma d’italiano: mi rispondono che stanno affrontando la poesia. Benissimo, parliamone!

Comincia il nostro dialogo sulla poesia, fatto di riferimenti alle nozioni che hanno appreso, certo, ma anche alle nostre (le mie e le loro) esperienze al riguardo. La classe (ragazze, in gran maggioranza) è fatta, in effetti, di elementi che appaiono “poco scolarizzati”, nel senso che difettano d’autocontrollo e che hanno la pessima abitudine di aggredirsi l’un l’altro verbalmente. Però è gente sveglia e intelligente, e anche capace di ragionamenti profondi.

E così il nostro dialogo va avanti, un po’ zoppicante, tra alti e bassi, ma con momenti anche molto intensi, in cui c’è vera attenzione e partecipazione.

A un certo momento (devo avergli ricordato qualcuno) un ragazzo esclama “carpe diem, professore!”. L’ombra del professor Keating, quello dell’Attimo fuggente, aleggia per un attimo nell’aula. Davanti a loro c’è uno che sembra avere tutte le caratteristiche del mitico personaggio del film.

Ma è solo un attimo. “No, ragazzi, il professor Keating non mi piace”. Delusione della classe: ho perso punti. “Ma voglio spiegarvi perché. In realtà non mi piace la sua filosofia. Voi sapete qual è la filosofia di Keating?”. Si concentrano, cercano nella memoria, ma non trovano niente.

“Eppure è molto esplicito, lo dice chiaramente all’inizio del film, ma è una breve frase che poi, presi dalla vicenda, non ci ricordiamo. Allora, cosa dice Keating ai suoi studenti?”. Una ragazza (molto in gamba) si ricorda improvvisamente: “Che siamo cibo per vermi”.

Già, che siamo cibo per vermi. Quando moriamo diventiamo concime e basta. Domanda: “Voi, onestamente, vi sentite cibo per vermi? Vi piace questa prospettiva che vi presenta Keating?”. Certo che no, ognuno di loro sente confusamente di essere molto di più che concime!

Bene, il famoso “carpe diem” è la filosofia giusta per chi si ritiene cibo per vermi, per chi non pensa di avere un destino più grande. Siccome la vita è una storia che va a finire sempre con la morte del protagonista, godiamocela fin che si può. Cogli l’attimo, succhia il midollo della vita, perché la gioia passa presto e presto ti ritrovi in compagnia dei vermi.

“Insomma, non mi pare che quel Keating sia un uomo tanto allegro. E poi ragazzi, diciamocelo chiaramente: il “carpe diem” va bene per dei ragazzetti benestanti, curati, carini, senza problemi. Vallo a dire a un negretto affamato dell’Africa; vallo a dire a un ragazzo che cresce mentre intorno c’è la guerra; vallo a dire ad un handicappato il “carpe diem”! Pensateci bene: quella gente che cosa ha da “carpire”? Che cosa ha da “succhiare” della vita?”.

Suona la campanella. L’ora è passata senza che ce ne siamo accorti. Siamo partiti dalla poesia e, come accade spesso con la poesia, siamo arrivati a parlare della nostra vita.

Esco dall’aula accompagnato da un applauso. E’ nata un’amicizia, tanto che ancor oggi ci si saluta quando ci si incontra nei corridoi della scuola.

Chissà se hanno capito? Chissà se hanno raccolto la sfida che gli ho lanciato? Chissà se sapranno seguire le esigenze del loro cuore, che nel profondo si ribella ad essere cibo per vermi? Chissà se rifletteranno sull’egoismo del loro “carpe diem”?

Chissà?

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