La scuola non è morta perché noi viviamo - 4 - Vale la pena vivere?
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Il dialogo in classe si fa sempre più interessante, serrato. L’altra mattina introducendo il Purgatorio dicevo che la prima preoccupazione di Dante è rispondere alla domanda: ma tutto ciò che c’è di bello, di vero, di importante nella vita è destinato a finire nel nulla o può essere salvato? Siamo condannati al nulla o destinati alla felicità? Le mie alunne sono convinte che non esista risposta a queste domande, o che non la si possa trovare e quindi che la risposta sia negativa. Io ho detto loro che questo accade perché non sottomettono la ragione all’esperienza. Cosa ci suggerisce l’esperienza? Che se io desidero o domando una cosa e tengo viva la domanda è perché ritengo possibile, plausibile una risposta positiva.
Ho fatto l’esempio di una che si trova in un bosco, sperduta e assetata dopo un lungo cammino, prende in considerazione l’ esigenza di bere perché ritiene possibile che da qualche parte possa esistere una sorgente. Se invece una, in classe, si domanda se può volare fuori dalla finestra, non prende in considerazione questa domanda, perché la ritiene assurda, mai nessuno è riuscito a volare. Ora noi consideriamo assurde le domande sul nostro destino, sulla felicità, esattamente come il desiderio di volare. Io ho chiesto: “Ma voi l’esperienza della felicità, della soddisfazione l’avete fatta?” Una ha risposto: “Sì, quando mi sono innamorata; in quel momento ho pensato che se quell’attimo fosse durato per sempre sarei stata felice”. Ho aggiunto: “Si può attendere con certezza quello che in qualche modo si è visto, si è sperimentato. Se ho bevuto un bicchiere d’acqua da qualche parte ci sarà sicuramente dell’acqua, se ho sperimentato per un momento la felicità, da qualche parte ci sarà la felicità”. Il problema è che noi viviamo in un mondo irragionevole, la cultura di oggi è assolutamente contraria alla ragionevolezza e alla esperienza e ritiene tutte queste domande delle “passioni inutili”. Il potere, poi, ha tutto l’interesse che noi la pensiamo così perché, abolite queste domande, ci può vendere i suoi prodotti, i suoi surrogati.
Per resistere a questo potere disumano, che non ha a cuore il nostro destino, bisogna sottoporre la nostra ragione all’esperienza, essere leali coi nostri desideri, prendere sul serio queste domande e iniziare una ricerca. Con chi? Assieme a qualcuno che ha qualcosa di interessante da dirci e ha già fatto dei passi nel cammino di questa ricerca, a chi ci promette qualcosa, non assieme a chi è scettico o ha solo dei “prodotti” da venderci.
Un altro esempio. Commentando il “Velo delle Grazie” di Foscolo dicevo che se il destino della realtà non è positivo, se non esiste la felicità, per una donna non è ragionevole mettere al mondo un figlio, sarebbe come condannarlo a una vita fatta di dolori, contraddizioni, una esistenza senza senso , noiosa, monotona. A volte è l’incoscienza, il non pensare a queste cose, o semplicemente il voler provare, il desiderio di un piacere, di soddisfare una voglia che spinge una donna a metter al mondo un figlio. Poi gli esiti si vedono nella totale assenza di una proposta educativa.
Due grandi geni della letteratura, Foscolo e Leopardi,erano perfettamente coscienti di questo problema. Foscolo nell’ultimo quadro del “Velo delle Grazie” si rivolge a una madre che, udendo i lamenti e il pianto del proprio figlio piccolo, prega per la sua salute, per la sua salvezza. La chiama “beata” perché ignora tutte le pene, le sofferenze che in futuro il figlio dovrà sopportare, al punto che forse sarebbe stato meglio che quel figlio fosse morto quella stessa notte. Evidentemente quella madre aveva la certezza della positività del destino, a differenza di Foscolo. Leopardi nel “Canto notturno” afferma che il primo gesto umano dei genitori di fronte al proprio figlio è quello del consolarlo per il fatto di essere nato, date le pene che dovrà sopportare nella vita. Ecco un altro esempio di posizione che nasce dall’incertezza del destino, della felicità.
Alcune alunne dicevano che i giudizi di Foscolo e Leopardi erano esagerati, eccessivi, in fondo la vita non è poi così male, inoltre quei giudizi sono stati formulati da persone che hanno avuto una vita alquanto travagliata. Come dire: incrociamo le dita e speriamo che vada tutto bene…ma fino a quando?
Nel momento in cui una madre mette al mondo un figlio che ne sa di come sarà il suo futuro? Se non ci fosse la certezza o comunque la possibilità della felicità sarebbe veramente ingiusto far nascere un figlio. Invece è proprio giusto perché la felicità esiste, la vita è fatta per un inesorabile positivo. Oggi non c’è più questa coscienza, tanto è vero che si fanno nascere sempre meno figli. Una mia alunna ha aggiunto: “C’è talmente poca coscienza del fatto che un figlio è destinato alla felicità, che molte donne decidono di abortire, di neanche farlo nascere quel figlio”. La mancanza di senso della vita, il nichilismo sempre più diffuso hanno portato a negare il valore della vita umana, o a ritenerlo secondario rispetto ad altre esigenze o preoccupazioni.
A quel punto mi sono ricordato che don Giussani diceva che noi non parleremmo così del problema della felicità, con questa chiarezza, con tanta certezza, se un discorso di questo genere non fosse entrato una volta nel mondo, se un uomo, Gesù di Nazareth, non avesse detto: “Io sono la tua felicità”.
Una mia alunna diceva: “Prof., la nostra vita è come se fosse a metà di un tunnel, da una parte c’è la roccia e quindi il buio, dall’altra l’ingresso e quindi la luce, la realtà. Noi siamo indecise sulla direzione da prendere, vorremmo andare verso la luce, la realtà, ma abbiamo paura, non sappiamo che cosa ci attende, siamo bloccate, forse perché ci sembra più comodo stare ferme. Mi è venuta in mente una canzone degli U2 “Discoteque”: ‘Ma prendi quello che puoi/perché è tutto ciò che puoi trovare./Oh tu sai che c’è qualcosa di più/oltre questa notte, stanotte, stanotte…/Lascia andare, andiamo in…discoteca./Via, via,lascia andare…andiamo in discoteca’”.
Comunque quell’alunna sembrava implorasse: chi mi dà una mano per uscire dal tunnel e addirittura un’altra ha detto: “Io voglio andare verso la luce, verso la realtà!”
E’ dunque solo a partire dal coraggio della testimonianza, dall’offerta di un nuovo modo di sentire, di conoscere, di giudicare, di fare esperienza che può nascere in una classe, in un piccolo punto, una vita nuova, liberata dalla paura, un mondo nuovo, una rivoluzione, come diceva don Giussani: “Qual è l’unica risposta all’omologazione? Fare la rivoluzione. Non è un concetto mio, è un concetto di Gesù, è la prima parola detta da Gesù: “Cambiate mentalità”, cambiate modo di giudicare, di vedere, di sentire, di gustare, di amare, di fare le cose…Tu gridi in modo tale da risvegliare, se fosse possibile, nel loro cuore, l’assetto originale, la ragione, il desiderio di piena spiegazione, di verità e di pieno godimento, di felicità; tu gridi in modo tale da risvegliare questi sentimenti costitutivi di ciò che la Bibbia chiama il cuore dell’uomo, che in loro tutti e in tutto il mondo di oggi è soffocato e tace” (L. Giussani ,Realtà e giovinezza la sfida, SEI, pag. 85). Ma allora educare è un’esperienza drammaticamente affascinante, appassionante!