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La scuola non è morta perché noi viviamo - 2 - Perché ricominciare?

Autore:
Bruschi, Franco
Fonte:
CulturaCattolica.it
“Perché sei qui? Cosa desideri?”: silenzio imbarazzato degli alunni davanti a una domanda inaspettata; in dieci anni di scuola nessuno aveva mai chiesto una cosa così!
E’ terribile l’abitudine al suono della campanella, senza mai chiedersi perché!
Considerazioni sulla ripresa del nuovo anno scolastico.

La mia nuova avventura nella scuola è ricominciata da quindici giorni. Ci sono i volti delle alunne dell’anno scorso, con loro è ripreso un dialogo che non si è mai interrotto, provocato dalla domanda: “Perché vale la pena ricominciare questo nuovo anno? Da che cosa ricominciare?”
Poi ci sono gli sguardi delle nuove alunne, che quando entri in classe ti scrutano e sembrano chiedere: “Che tipo sarà questo qui? Cosa vorrà da noi?”
Per stemperare il clima mi presento: “Io sono Franco, e tu?”
“Io sono Clara, io sono Silvia, io sono Veronica…”
Poi la domanda: “Perché sei qui? Cosa desideri?”: di nuovo silenzio imbarazzato davanti a una domanda inaspettata; in dieci anni di scuola nessuno aveva mai chiesto una cosa così!
E’ terribile l’abitudine al suono della campanella, senza mai chiedersi perché!
La mia scuola è ricominciata così, esattamente come era cominciata per me circa 40 anni fa, anche se al di fuori di un’aula scolastica, perché anche i miei prof non si sognavano di farmi certe domande. E’ cominciata da un incontro fra il mio desiderio, la mia domanda e una ipotesi di risposta, fra il desiderio di un cammino e la proposta di un cammino insieme.
Quest’anno sulle pareti della classe ho proiettato la frase di C. Pavese: “Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?”.
E’ la stessa frase che 40 anni fa qualcuno aveva proposto a me, commentandola con voce forte, decisa: “Pavese non ha capito che la vita è PROMESSA, che i nostri desideri costituiscono la promessa certa di una risposta!”. E aveva aggiunto: “Non abbiamo deciso noi di metterci in corsa, ma ci siamo ritrovati in corsa e questo significa che esiste una meta”.
Accade un incontro fra un ragazzo e un adulto quando quest’ultimo ha confidenza con la vita, quella confidenza che mi è stata trasmessa 40 anni fa, quando, grazie a quell’incontro eccezionale, mi è apparso improvvisamente evidente che era ragionevole attendere quel che nella mia vita avevo in qualche modo già intravisto: che io desideravo il bene, il bello, il vero, che io desideravo essere felice, amare e essere amato e che senza queste risposte non valeva la pena vivere.
L’esperienza di un giovane di oggi è segnata dalla tristezza e dallo scetticismo, come testimoniava l’altro giorno una mia alunna: “Come è triste dover constatare che mi faccio spesso delle domande a cui, purtroppo, non c’è risposta”. Un giovane oggi non intuisce più la cosa più chiara per un bambino: che mamma e papà sono coloro che devono rispondere ai suoi bisogni e alle sue esigenze; che quelle esigenze, quindi, costituiscono una promessa di risposta. Un giovane non intuisce più la positività dell’esistenza.
Per dire questa cosa riprendendo la frase di Pavese: noi attendiamo perché la nostra natura è promessa.
Il cristianesimo è entrato nel mondo come annuncio che quella PROMESSA si è resa presenza umana incontrabile, quindi sperimentabile e questo annuncio continua a sfidare lo scetticismo, l’incredulità e la tristezza del giovane di oggi.

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