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Insegnare la propria disciplina: una continua avventura - 1

Autore:
Mocchetti, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it

"… Noi non lavoriamo per la gloria… l'unica mia regola è possedere il senso continuo della presenza di Dio… l'essere sempre all'attacco, aperti per ricevere, comprendere, simpatizzare, tesi per irradiarsi e donarsi, generosi, cioè sovrabbondanti nel duplice movimento di arricchimento ed espansione; in una parola, il fatto di creare sempre dentro e fuori di sé, questo è il segreto della perenne giovinezza…" (E. Mounier - Lettere e diari)

1. Non esiste educazione che non sia comunicazione di sé, cioè di quello che tu sei, della passione che vivi per la realtà, degli interessi che coltivi, di quello che impari da altri, di quello che hai ricevuto dalla Tradizione che hai respirato, della cultura acquisita facendo diventare tale "traditio" un vissuto presente per te.

2. Non esiste educazione come esito di una capacità/competenza di tipo individualistico, per quanto pedagogicamente geniale essa possa essere. L'educazione è sempre l'esito dell'incontro con una vita in atto, con l'umanità di un maestro che si compromette con il discepolo. La professionalità si affina nel tempo misurandosi con l'errore e conquistando gradualmente certezze circa la propria disciplina. Ma si educa sempre con altri adulti che permettono al tuo insegnare di non essere un'esibizione solitaria intellettualistica, al tuo sapere di essere intrecciato con altri saperi. Si educa (s'introduce il ragazzo alla totalità della realtà) e si in-segna (si lanciano segni al suo io) insieme. Uno entra in classe e impegna tutto se stesso per soddisfare il bisogno di conoscenza e la curiosità verso il reale degli alunni. Con tutti i propri limiti e le proprie risorse, un docente si gioca personalmente (nessuno può sostituirsi a lui nel rischio della sua responsabilità), ma questo docente è sempre memore della compagnia che lo sostiene. E' memore di quei colleghi che ne sanno più di lui e da cui umilmente desidera imparare, degli insegnanti che sono più di lui, nel senso che vivono in modo trasparente e riconoscibile un "di più" di umanità e verità di sé. L'educare è sempre un gesto di grande e costante umiltà, di serietà e semplicità nell'accostarsi al proprio lavoro, un gesto di tenace libertà nel vivere i rapporti con gli altri colleghi e con gli alunni. La vera materia sei tu, qualunque disciplina insegni. La lezione, le strategie e le metodologie didattiche, gli strumenti, ecc. o sono costantemente "attraversati" da te, altrimenti sono saperi formali che mortificano l'intelligenza del docente e la curiosità dell'alunno (il quale tra l'altro è obbligato ad "ingozzare" questi saperi). Il docente insegna ciò che gli piace, ciò che desta il suo stupore, insegna ciò che non lo annoia perché lo ripete da anni; il docente è un avventuriero, un esploratore che va sempre in cerca di territori e popoli ignoti, senza dimenticare le radici da cui proviene e che hanno dato consistenza al suo io. La novità è raccontare sempre ai ragazzi chi sei, tramite un sapere che non ti basta mai, una disciplina che si "aggiorna" perché tu vivi un rapporto attivo con la realtà. Questo implica una costante auto-purificazione dalla pigrizia che ci fa accontentare delle cose che sappiamo, implica un costante impegno di rinnovamento, l'inquietudine e la curiosità di misurare un sapere già acquisito con le "ripercussioni" provocate dal rapporto con la realtà. Vi è un maturare costante della nostra ragione e del nostro cuore che non restano uguali nel corso degli anni: ciascuno di noi non insegna come un anno, cinque, dieci anni fa…

3. Che cosa succede quando la disciplina è "attraversata" dal proprio io?
Accade che lo sguardo del discepolo si leva verso di te, s'incuriosisce, la sua ragione si risveglia, si illumina; accade l'affascinante mistero di una lezione che stabilisce, per Grazia, un incontro tra il tuo desiderio di conoscenza e la tua passione nel comunicare la materia su cui hai sudato con tutto il tuo impegno. Succede inoltre che il contenuto/argomento che hai preparato "deborda" dallo strumento che stai usando (manuale, immagini…) e si riempie di una totalità d'orizzonte che fa davvero scorgere ai passeggeri del vascello i delfini che guizzano sulle onde, o le stelle che brillano nel cielo. "Deborda", non nel senso che lo specifico del contenuto o dello strumento viene evacuato per dire o fare altro…no!! Dentro questo "frammento" - una tavola, un disegno, un'esercitazione musicale, un esercizio corporeo, l'ascolto di una poesia, il racconto di un fatto storico, ecc. c'è la "totalità" della realtà, perché il docente porta nel contesto di tale "frammento" quello che sa, quello che ha imparato, le provocazioni quotidiane con cui il reale contagia il suo io. In questo "frammento" ci sono i consigli dei colleghi, gli errori che non si vogliono ripetere, le intuizioni e le ricchezze acquisite, ma soprattutto ci sono le ipotesi di valore (gli obiettivi educativi) che fondano il lavoro comune del consiglio di classe.

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