Insegnare la propria disciplina: una continua avventura - 2
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
1. Non esiste l’insegnamento di una disciplina che non offra un giudizio: la propria materia è una modalità tramite cui il docente propone quello in cui crede, in cui spera, ciò che ama e che impegna quotidianamente il suo io. Il giudizio è una riflessione continua sull’esperienza che uno vive. Per un docente, questo lavorare su di sé, sul senso della propria vita e del proprio educare, questo lavoro è la “conditio sine qua non” per praticare uno dei mestieri più drammatici ma anche affascinanti del mondo.
2. Questo giudizio si trasforma in cultura, cioè nel criterio e nel metodo con cui è insegnata la nostra disciplina. Se noi desideriamo che nelle nostre lezioni i ragazzi imparino a stupirsi verso il reale, siamo chiamati a meravigliarci noi in prima persona ed anche a generare costantemente con i colleghi una professionalità, una competenza adeguate a rendere protagonisti di tale “giudizio/cultura” proprio gli specifici destinatari, cioè gli alunni. Il giudizio è un modo nuovo di guardare le cose di tutti i giorni!!! Un esempio: se orientiamo gli alunni sul futuro, non possiamo ridurre due anni di rapporto e di insegnamento ad un bigliettino con scritto: “puoi frequentare questo tipo di scuola dopo le medie…”. Lo fai, certo, ma intanto risvegli nel ragazzo le domande di senso, di scopo su cui fondare l’inizio della sua giovinezza. Ancora: come pensare che i ragazzi imparino ad accogliere, ad essere solidali, se, nel contesto della propria disciplina, non li si rende partecipi del dolore del mondo? La loro naturale capacità di dedizione va incanalata dentro un gesto motivato da una conoscenza, da una ragionevolezza: e chi offre questa ragionevolezza, se non il docente con la trasmissione del suo sapere? Ecco allora che:
- la Storia è presentata come cammino drammatico dei popoli ed è sempre salvata dalla provvidenzialità di una Presenza (questo è il “giudizio” che educa il ragazzo ad uno sguardo di positività anche verso la realtà storica più atroce…)
- nel progresso della Tecnica, c’è l’umiltà nascosta (ma tuttora visibile dopo secoli) dello scalpellino che intagliava le figure sui portali delle cattedrali
- nelle parole del Poeta, c’è la trasfigurazione, tramite immagini, del quotidiano di cui vengono svelate alcune tracce insospettate di mistero, e noi docenti ci facciamo umili canali che fanno arrivare i ragazzi alla sorgente, così che anch’essi ne possano godere (“sempre caro mi fu questo ermo colle… fatti non foste a vivere come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza… m’illumino d’immenso…”)
- nel creare legami tra le parole, i ragazzi possano comunicare meglio tutto il mondo che hanno dentro di sé
- nell’apertura della ragione, la soglia del Mistero si spalanca di fronte all’io di un preadolescente che pone domande e viene accompagnato verso delle ipotesi di risposta, in un cammino di ricerca comune compiuto dal maestro con il discepolo…
Così ciò che si studia diventa la possibilità di approccio sistematico a tutti i fattori della realtà, diventa un percorso conoscitivo “critico”. Il giudizio è come la torcia che illumina il sentiero, il buio della foresta, una torcia che il docente fornisce pazientemente e discretamente al ragazzo, ogni lezione, ogni santo giorno, affinché il ragazzo diventi attore vivo e curioso, vero protagonista del proprio apprendimento. Senza giudizio, senza cultura, la disciplina resta solo un insieme di nozioni che il tempo rimuove.
3. Metodo e strumenti? Usare di tutto perché l’alunno progressivamente sia contagiato “per osmosi” da questo giudizio, da questa cultura che attraversa la disciplina, sempre nel rispetto di quello che il ragazzo è e delle risorse che realmente possiede. Il metodo è quello maieutico, socratico, cioè: ben sapendo quello che vai a fare in classe, provochi l’allievo con domande, vai a poco a poco a “stanare” il suo io, fai emergere le sue maggiori o minori capacità, la sua curiosità, la sua pigrizia, valorizzando subito i pochi o tanti talenti che nemmeno lui sa di possedere, perché nessuno finora lo ha guardato come “degno di scoprire il mondo e oggetto della più alta considerazione…” (A. Camus). Tutto ciò va fatto pazientemente, perché i tempi dell’adesione e dello scatto della libertà non puoi deciderli tu, ci si muove “lungo una strada” (meta-odòs) che implica un percorso triennale, per più di 8 mesi, per 5 ore al giorno… spezzando gradualmente e realisticamente contenuti e argomenti della tua disciplina, accompagnando sempre questo insegnare con l’offerta della tua umanità e con un giudizio. Se l’alunno recalcitra lungo il sentiero, lo aspetti, ma solo fino a un certo punto, a meno che abbia dei limiti naturali o derivanti da una storia precedente non costruttiva e non valorizzante. Strumenti? Tutti quelli che vuoi o che ti inventi: dal manuale alle immagini, alle unità didattiche gestite in compresenza con maestri “esterni” che fai incontrare agli allievi.