Teatro a scuola: il "Miguel Manara" alle superiori - 2
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L’incontro fra Miguel e Girolama richiama altri incontri di cui è ricca la letteratura del passato, basti citare l’incontro fra Dante e Beatrice, quello di Olindo e Sofronia, di Tancredi e Clorinda nella “Gerusalemme Liberata” del Tasso, quello di Lucia e l’Innominato, quello di Montale con Irma Brandeis. Si tratta di incontri che costituiscono l’avvenimento che cambia la vita.
Girolama è una figura bellissima, una presenza amorosa in grado di far ritrovare a Miguel il valore, la consistenza e il significato del suo io, della sua vita.
Quella che doveva essere l’esperienza più bella, più vera, più pura e più costruttiva, l’esperienza amorosa, cosa era diventata nella vita di Miguel e cosa diventa nella vita di tanti uomini oggi? Noia, delusione, insignificanza, scetticismo, disperazione.
Nel dialogo con Miguel, Girolama dice: “Non metto mai i fiori tra i miei capelli. I fiori sono dei begli esseri viventi, e bisogna lasciarli vivere e respirare l’aria del sole e della luna. Io non li colgo mai, i fiori. Si può benissimo amare, in questo mondo sul quale viviamo, senza aver subito voglia di uccidere il proprio caro amore, o di metterlo in una prigione di vetro, oppure in una gabbia - come fanno con gli uccelli - in cui l’acqua non ha più gusto d’acqua e i semi non han più gusto di semi”
L’incontro con l’ amore è il miracolo dell’esistenza: attraverso lo sguardo della persona che ama l’uomo percepisce una possibilità di bene, di significato, di felicità, mai intesa prima.
E in questo sta la genialità del vero sguardo amoroso: sta nella comunicazione che tutto è segno, i fiori, gli uccelli, l’uomo, di qualcosa di grande, di un destino buono, positivo che ci chiama e ci attrae attraverso la realtà e attraverso quelle presenze, come Girolama, che hanno uno sguardo profondo, vero su tutte le cose. Solo chi riconosce questo valore di segno delle cose riesce a possederle senza ucciderle.
Miguel, che ha ancora l’animo pieno di amarezza, di rimorso, per il male che ha compiuto dice:
“Ahimè Girolama! Che non ci sia rimedio a questa tristezza del cuore. Quello che è fatto è fatto. Perché è così la nostra vita: ciò che è compiuto è compiuto”.
Girolama, giovane dolcissima ma decisa, gli risponde: “Non condivido per nulla questo punto di vista” e poi aggiunge: “Voi siete l’uomo salvato dal diluvio delle tenebre e siete debole e pallido, e ancora tutto stupito e bisogna bene che una sorella pensi per voi e parli per voi e vi sostenga nel cammino, e preghi Dio per voi. Non siete forse voi l’uomo salvato dall’acqua amara? E allora certamente sono la vostra sorella”.
Queste parole sono come l’acqua per il cuore assetato di verità e di amore di Miguel che afferma: “Ma perché non mi sono accorto prima di avere l’anima buona!”
E il dialogo si conclude con Miguel che domanda: “Ed il vostro grande pudore, e la vostra santità, me la confidate voi per il tempo? Per la vita?”, e Girolama: “Per l’eternità”. Di nuovo Miguel: “ E mi amate voi? E mi amate di pio amore innanzi agli uomini, innanzi agli uomini?” e Girolama risponde: “Innanzi a Dio”.
E’ la rinascita di Miguel. Nell’incontro con Girolama si realizza l’incontro col Dio che salva, che perdona e la donna è il segno umano, visibile, concreto di questo Dio che abbraccia e che perdona.
Per l’uomo è l’esperienza dell’uscita dalla notte, la notte del male, del non senso, che gli impedisce di vedere e di comprendere prima di tutto se stesso e la realtà. La luce che risplende in un simile incontro gli permette di riabbracciare tutto: se stesso, gli amici, le donne che aveva tradito, tutto ciò che sembrava irrimediabilmente perduto, senza senso, persino il male che aveva commesso. Ritrova e riscopre il senso di positività della vita e del reale, di tutto il reale.
Dopo tre mesi dal matrimonio Girolama muore e Miguel si sente sospeso come su un abisso vertiginoso senza un punto di appoggio, senza una presenza che gli indichi la via per il suo destino, la sua felicità. Ma resta l’esperienza, che lui ha vissuto, di un’ultima positività, di una speranza per la sua vita. Dove ritrovarla? Si reca al convento della Caridad a Siviglia e incontra la figura dell’abate.
Miguel, davanti all’abate, fa la sua confessione disperata, dominato dal rimorso e dalla vergogna del male che ha commesso. La conoscenza e poi la morte di Girolama hanno fatto rinascere in lui tutto lo schifo, il ribrezzo per la sua vita passata.
L’abate gli risponde: “Via, via non piangere figlio mio. No! Non vuole sorridere il mio monaco questuante? Non mi riesce farlo sorridere! Non capisci, dunque, figliolo? Il fatto è che tu pensi a cose che non sono più e che non sono mai state, figlio mio”.
Questo è il messaggio più grande di tutto il testo: Miguel ha riconosciuto nell’incontro con Girolama la presenza amorosa del Dio che salva, la misericordia, il perdono, lui è dunque un uomo nuovo, il passato non esiste più. La compagnia di quel Dio si rinnova nell’incontro con l’abate.
L’abate continua: “Ma è proprio necessario ripeterti che sei venuto, che sei qui, che tutto va bene?
Ma cosa mai si è ficcato in testa, Signore?”
In quel momento Miguel vive una delle più grandi esperienze umane: quella di sentirsi scoperto, capito, accolto, infatti dice: “Come fate, padre, a leggermi nel cuore in questo modo? Non mi avete nemmeno lasciato il tempo di aprirvelo tutto. Come fate, padre, a leggere così nel mio cuore, libro chiuso?”
Ormai vecchio ripeterà le parole dell’abate: “Che dice Paolo, il malvagio, e che dice Maria, la prostituta? Che quello che è stato rubato e perduto è stato rubato e perduto. Io sono Manara. E Colui che amo mi dice: queste cose non sono state! Se hai rubato, se hai ucciso: che queste cose non siano state! Lui solo è”.
Accettare questo giudizio vuol dire cambiare mentalità, vuol dire cambiare la concezione che uno ha della vita.
Milosz è come se dicesse: anche quando sbagliavi, anche quando la vita ti appariva senza senso, anche quando sperimentavi l’ impossibilità della gioia, della pace, anche quando i tuoi desideri sembravano senza risposta, anche quando il sentimento della vita era arido, negativo, anche quando ti sentivi vuoto e annoiato, tutto ciò è come se ti suggerisse, ti indicasse il contrario, perché “Lui solo è”, quella Presenza a cui puoi dare del Tu è il significato di tutto.
E il tuo cuore pieno di desideri, di attese è lì ad attestarlo. Per affermare che la vita è inutile, non ha senso, è una scatola vuota, uno è costretto a negare la realtà, prima di tutto la realtà del suo cuore. Ma questo è irragionevole, perché la realtà è testarda, la realtà esiste! Infatti basta un momento di sincerità per sentirla di nuovo pulsare.
L’unico problema dell’uomo è quello di fissare la sua attenzione, il suo sguardo sulla realtà e sul Mistero di cui tutta la realtà è segno, sul Mistero che si è reso Presenza umana incontrabile attraverso persone come Girolama, l’abate, Lucia, Beatrice…fino a Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, o un compagno di classe. L’ inconveniente è quando uno fissa l’occhio su se stesso, o sul proprio sentimento, o sulle sue idee, sulla sua analisi, allora può arrivare a negare l’utilità e il senso della vita o ad identificarlo in qualcosa di limitato o peggio di effimero, falso. Come l’alunna di Lodoli.
Ciò che hanno fatto quelle 1400 persone in quella serata di maggio è la cosa più bella e importante che esista: cercare e riconoscere nei volti e nelle parole di un gruppo di attori improvvisati, o nell’esperienza vissuta quella sera a teatro le tracce di quell’Avvenimento che ha cambiato la storia e che dona a chi lo riconosce e lo ama una storia, un destino e un volto. Un fatto come questo è un avvenimento culturale, qualcosa di assolutamente nuovo all’interno del clima culturale dominante, è una sfida per tutta la città.(Il teatro è stato rappresentato a Varese).
Concludo dicendo che evidentemente il desiderio e la possibilità di questa esperienza sono molto più presenti e sentiti di quanto non pensi il prof. Lodoli, quanto è successo quella sera è quanto dovrebbe e potrebbe accadere ogni mattina in tutte le aule scolastiche.