"Dolce Amor, Cristo bello!" Clemente Rebora e l’incontro con Cristo 1 - Un fatto decisivo
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C’è un fatto che Clemente Rebora ha sempre sentito come centrale all’interno della sua esistenza e anche quando, ormai anziano a pochi anni dalla morte, riepilogherà la sua vicenda umana all’interno del Curriculum vitae, evidenzierà come momento fondamentale di quell’itinerario che lo ha portato all’incontro con Cristo.
1928. Una sala piena di gente. Come gli capitava spesso in quegli anni, il poeta si trova a dover parlare davanti a un vasto pubblico. Una lettura degli Atti dei martiri scillitani. A un certo punto, giunto al momento in cui i martiri confessano la loro fedeltà a Cristo, Rebora non riesce più a proseguire, non si sente bene ed è costretto a sospendere l’incontro.
Leggiamo le sue parole: «ed ecco mi prese una commozione tale che non potei più proseguire e a stento non scoppiai in singhiozzi palesi. Il pubblico attonito – data la mia cosiddetta “facoltà di parola” – stette in un silenzio solenne, per parecchi minuti. In fine io mi levai come folgorato di pianto [...]. Da quel momento Dio mi tolse il dono della parola in pubblico». E nel Curriculum vitae sintetizzerà: «la Parola zittì chiacchiere mie».
Questo episodio ci insegna che leggere un testo significa immedesimarsi con l’umanità di colui che ha scritto e, nel caso di Clemente Rebora incontrarsi con un poeta che ha espresso, attraverso la sua opera letteraria e la sua vita, una domanda pienamente umana che reclama Cristo. Si tratta di porsi di fronte a ciò che il poeta, dopo un lungo itinerario, ha riconosciuto come l’oggetto del suo amore: il volto di Gesù.
A questo ci ammonisce lo stesso poeta, quando negli anni Cinquanta scrive all’amato fratello Piero: «uscendo da una lettura di poesia (e qui bisognerebbe dire delle altre arti, ciascuna col suo dono sublime, e della musica che nei grandi è quasi donazione di carità) ci si potrebbe sentire incoraggiati al bene e all’eterno», perché «la poesia, intesa in modo totale, cioè cattolico, è la bellezza che rende palese, come arcano riverbero, la Bontà infinita che ha sì gran braccia».
Perché dunque Rebora può essere così interessante per noi? Appunto perché è l’esempio di una vita e di un’opera poetica segnata dalla costante attesa del Volto amato, riconosciuto infine nel Volto di Cristo, che dona la pace del cuore: «Dolce Amor, Cristo bello [...] // Dolce Amor, Gesù buono / quanto sei ignorato! / ciascun nel tuo perdono, / del Dono ti sia grato». Una vita e una poesia: in questo caso due termini inscindibili, perché, come dice il poeta, “santità soltanto compie il canto” (il culmine, il compimento della poesia, che è ricerca dell’Assoluto, è nella santità, in una vita che aderisce a Cristo).
“Rebora è nello stesso tempo poeta e poi sarà un santo. È un esempio, si direbbe, unico in tutta la storia della letteratura italiana, se non si vuole risalire a Jacopone da Todi. Ma Jacopone non ci dà l’itinerario della sua vita, Clemente Rebora sì” (Divo Barsotti).
Un altro motivo di interesse, inoltre, attiene molto strettamente ai tempi che stiamo vivendo, segnati da quella che è stata chiamata un’“emergenza educativa”. Giovane insegnante fra Milano e Novara, Rebora è stato successivamente, ormai sacerdote, prefetto e padre spirituale dei giovani rosminiani al collegio di Stresa. Rileggendo questa sua attività quando è ormai anziano, sembra giungere con certezza e chiarezza a quello che è il centro dell’opera educativa. Così ricorda: «Mi affidarono anche delinquenti minorenni per riavvivare al bene. Ricordo di uno che mi pareva affezionato; ma incontrammo in una delle vie più malfamate dei suoi già compagni di delinquenza, ed ebbe forse rossore di farsi vedere con me davanti a loro, e se ne fuggì e non lo vidi più. Oh allora che dovevo sostenermi come se io valessi e potessi da solo! Senza preghiera: senza la Madonna!» (Diario intimo).
Sembra di sentir riecheggiare le parole che Manzoni fa pronunciare a padre Cristoforo quando dà l’ultimo saluto a Renzo e Lucia al Lazzaretto – parole che fra l’altro Rebora ricordava anche alle ascritte rosminiane in una giornata di ritiro predicata per loro: “Se il Signore vi concede figlioli, abbiate in mira d’allevarli per Lui, d’instillar loro l’amore di Lui e poi li guiderete bene in tutto il resto”.
Che grandezza questi scrittori lombardi! E che concretezza nel centrare in poche parole il senso dell’educazione: rimandare tutto a Cristo.