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"Dolce Amor, Cristo bello!" Clemente Rebora e l'incontro con Cristo 2 - Fuga dal nichilismo

Autore:
Rossi, Valerio
Fonte:
CulturaCattolica.it

Chi era Clemente Rebora? Nato nel 1885, apparteneva a una famiglia laica milanese: quinto di sette fratelli, era figlio di Teresa Rinaldi e di Enrico, che in gioventù aveva combattuto con Garibaldi ed era rimasto fedele agli ideali risorgimentali, coltivando il pensiero di Mazzini e aderendo alla massoneria. «Grande rettitudine e austerità» quella della sua famiglia – come ricorderà lo stesso poeta -, ma “senza più nulla di soprannaturale”.
Questo non impedì però a Clemente di mantenere un’inquietudine dettata da insoddisfazione per il mondo borghese del suo tempo (così in Curriculum vitae: “Un guasto occulto mi minava in basso, / un lutto orlava ogni mio gioire: / l’infinito anelando, udivo intorno / nel traffico o nel chiasso, un dire furbo: / Quando c’è la salute c’è tutto; / e intendevan le guance paffute, nel girotondo di questo mondo. / Ribellante gridava la mia pena: ho sbagliato pianeta!”) e un atteggiamento di apertura verso la realtà, così come gli si presentava. Ed è questo il punto da cui partire per comprendere il cammino della sua vita. Quello che colpisce già nel giovane Rebora – come sottolineava don Luigi Giussani in una lettura di una ventina di anni fa a Vercelli – “è la sua positività di uomo buono, una positività di fronte al disegno misterioso delle cose, o meglio, l’affermazione della positività del disegno misterioso. Rebora afferma un disegno, e quindi intuisce un’intelligenza nelle cose, misteriosa perciò ineffabile, non dicibile, non decifrabile, ma comunque positiva”.

Se l’uom tra bara e culla
Si perpetua, e le sue croci
Son legno di un tronco immortale
E le sue tende frale germoglio
D’inesausto rigoglio,
Questo è cieco destin che si trastulla?
Se van dall’universo eterne voci
E dagli àtomi ai soli si marita
Fra glorie ardenti e tenebrosi falli
Una grandezza infinita
Che lo spirito intende,
Questo è per nulla?


Come sottolinea ancora don Giussani, la meditazione sul destino dell’uomo si conclude con l’espressione di quella che è l’esigenza ultima del cuore dell’uomo e con una visione positiva dell’universo e della storia umana. L’ultimo interrogativo, evidentemente retorico, adombra in sé una risposta: no, tutto ciò non può essere per nulla.
Lontano dal nichilismo che attraversa tanta parte della poesia e della letteratura contemporanea, Rebora non nega la realtà; da essa nasce una domanda di senso, un senso che deve esserci, proprio perché la realtà c’è.

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