“Dolce Amor, Cristo bello!” Clemente Rebora e l’incontro con Cristo 5 - "Testa a testa con Gesù"
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C’è però la necessità di una scelta, di una decisione per l’esistenza:
“urge la scelta tremenda
dire sì, dire no
a qualcosa che so”
Un’ansia di trascendenza che lo percorre, l’aspirazione a una vita grande e piena. Abbandonato il fascino che ha esercitato per breve tempo su di lui il misticismo orientale, ritorna forte l’influenza dell’educazione paterna e con essa il pensiero di Mazzini: l’uomo deve tendere a realizzare nella concretezza un’”Idea”, che porterà così l’intera umanità verso un progressivo innalzamento ad una vita ideale di unanimità universale. Sono le forze dell’uomo che devono incarnare a poco a poco un'idealità trascendente. Ma – come ha ben sottolineato don Divo Barsotti – “l’idea non basta a dare un contenuto alla vita, perché quello che dà un contenuto alla vita è l’amore e l’amore implica il rapporto con una persona. […] Era affascinante, questa vita tesa verso l’ideale naturalmente attirava, affascinava le anime. Tuttavia – diceva – non c’era vero amore. L’amore implica un rapporto personale e non è personale soltanto in chi ama, è personale anche in chi è amato”.
C’è un profondo insegnamento in questo: i valori, anche se incarnati nella realtà, non bastano a colmare il desiderio dell’uomo, non bastano a renderlo felice, non bastano a renderlo protagonista di una vita “buona”.
C’è il desiderio di un Volto che ama e di un Volto da amare. È qui che si affaccia la figura di Cristo, che a poco a poco diviene il centro degli affetti del poeta. Quello di Rebora è un vero e proprio innamoramento per Cristo che – come sottolineerà più tardi, in Curriculum vitae – fin da quando lui era lontano da Dio lo chiamava a sé, non lo lasciava tranquillo (sin dal Battesimo che, anche se ignorato, operava segretamente in lui). Alla fine della sua vita rileggerà l’intera esistenza proprio in questo modo: come un insieme di segni in cui Dio segretamente ma incessantemente operava (il manifestarsi del mistero è nel segno).
Innamorarsi di Cristo ha significato per Rebora consegnare a lui l’intera esistenza fino a divenire, a 51 anni, sacerdote all’interno dell’ordine rosminiano con una duplice consapevolezza:
a. è necessario vivere l’appartenenza a Cristo in un’obbedienza a quella “forma” che ci è stata data come vocazione perché solo attraverso questa il Volto dell’Amato si fa più luminoso. Così nel Gran grido parla di Rosmini, come “d’uno che, fisso al Volto di Dio, / al Crocifisso Amore infinito, / legge – adorando, tacendo, godendo – / nel Trinitario circolar mistero / la verità delle infuocate nozze”.
b. questo porta al sacrificio di sé, a un’umiltà che non è umiliazione, ma il riconoscimento che Dio è tutto. Così recita il voto da lui emesso sub gravi, con l’approvazione del superiore, sin dal momento della sua ordinazione: “Mio Signore e mio Dio, faccio voto di chiederti in ogni tempo la grazia di patire e morire oscuramente, scomparendo polverizzato nell’opera del tuo Amore”.
Cos’è questo “annullamento” di Rebora?
È anzitutto il riconoscimento di essere peccatori. “Da un nulla colpevole mi facesti un nulla peccatore: e ora fa’ di questo mio nulla tutto quello che vuoi”: non è semplicemente la coscienza di aver infranto la legge (questa è la colpa) – perché ciò non produce nulla –, ma la coscienza del proprio allontanamento da una Presenza che c’è e che colma il suo bisogno umano.
È inoltre affidamento totale a questa Presenza reale sulle cui spalle Rebora china il suo capo, anzi al cui capo avvicina il suo. A questo proposito è bello citare un episodio che ha ricordato monsignor Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, che lo ricorda – lui giovane confratello – alla Sacra di San Michele: “Ogni volta che veniva lassù, chiedeva con umiltà all’abate di avere la cella vicina alla cappella interna; non solo, ma chiedeva il “permesso” – cosa davvero incredibile – di disporre il letto in modo che fosse rivolto verso la parete della cappella. Diceva: «Così riposo testa a testa con Gesù»”.