“La giornata di uno scrutatore” di Italo Calvino 2 – La domanda sulla condizione umana
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Il voto, l’estremo esito delle democrazie moderne, può trovare significato anche per i minorati in una istituzione che per loro si plasma come una società. Il mondo della imperfezione dal momento che si rende autosufficiente – pensa Amerigo – sembra rispondere alla imperfezione stessa attraverso un sistema opportunamente congegnato. Ma si apre una ulteriore domanda: basta un sistema giusto a risolvere la negatività, la deformità?
Quando ritorna a casa per l’intervallo del pranzo, Amerigo sente la necessità di trovare tra i suoi libri una lettura che accompagni e incanali le sue riflessioni. Sceglie un passo dei Manoscritti giovanili di Marx: nella utopia marxista ogni incapacità (quindi anche le deformazioni degli ospiti del “Cottolengo”) verrebbe neutralizzata alla perfetta orchestrazione della società, ma ad Amerigo il passo fa sorgere un ennesimo interrogativo: vorrà dire che il comunismo ridarà le gambe agli zoppi, la vista ai ciechi? Cioè lo zoppo avrà disposizione tante e tante gambe per correre che non s’accorgerà se gliene manca una delle sue? Qui le domande restano senza risposte, anche perché nella narrazione si intrufolano le drammatiche telefonate con la ragazza.
Nel pomeriggio, quando percorre le corsie con il seggio distaccato, il protagonista si imbatte nei ricoverati privi di ogni lume di coscienza e per lui si aprono interrogativi tremendi: fino a dove un essere umano può dirsi umano?[…] Amerigo in quel momento non pensava più all’insensato motivo per cui si trovava lì; gli pareva che il confine di cui ora gli si chiedeva il controllo fosse un altro: non quello della
La sfera dell’umano si espande oltre i confini della coscienza, della ragione. La suora aveva scelto la corsia con un atto di libertà […]. Invece il vecchio contadino non aveva scelto nulla, il legame che lo teneva stretto nella corsia non l’aveva voluto lui, la sua vita era altrove, sulle sue terre, ma faceva alla domenica il viaggio per veder masticare suo figlio […]. Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore. E poi: l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo.
La società giusta del mito marxista si dilegua, di fronte alla notte della coscienza nessuna organizzazione basta, solo l’amore sembra poter abbracciare i confini dell’umano.
Perché l’amore della suora può essere ricondotto dentro uno schema razionale e quello del contadino no? Forse perché il primo, agli occhi del razionalista Amerigo, può trovare una giustificazione nell’ordine del sistema “Cottolengo”, mentre il secondo ha bisogno di una ragione più ragionevole, fa parte di quel garbuglio in cui sono legate tra loro – dolorosamente, spesso ( o sempre) – le persone, e quindi imperscrutabile.
Si potrebbe dire che Calvino si dibatte tra due manifestazioni d’amore, la prima ascrivibile in orizzonti razionalistici, la seconda assolutamente gratuita. Un dramma di grande attualità come lo stesso protagonista ammette: si sentiva lucido come se ormai tutto gli fosse chiaro, e comprendesse cosa si doveva esigere dalla società e cosa invece non era dalla società che si poteva esigere, ma bisognava arrivarci di persona, se no niente […]. La città dell’homo faber, pensò Amerigo, rischia sempre di scambiare le sue istituzioni per il fuoco segreto senza il quale le città non si fondano né le ruote delle macchine vengono messe in moto; e nel difendere le istituzioni, senza accorgersene, può lasciar spegnere il fuoco.
In sintesi un racconto pieno di contrasti che lasciò esterrefatti i critici militanti e finì dimenticato perché estremamente scomodo, ma che val la pena di leggere perché, distrutte le ideologie, ci suggerisce di badare al fuoco segreto che origina ogni vicenda umana: [Amerigo] non sapeva cosa avrebbe voluto: capiva solo quant’era distante, lui come tutti, dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere.