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“La giornata di uno scrutatore” di Italo Calvino 4 - La sorpresa di un incontro

Autore:
Fighera, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it

Queste domande, queste intuizioni non scansano del tutto l’uomo vecchio, ossia l’Amerigo che ha studiato, uomo di partito e di certezze. Eppure l’inizio di qualche cosa di sorprendentemente nuovo si fa strada nel suo animo: di fronte a un compagno di partito che vorrebbe invalidare i voti di alcuni dementi, Amerigo insorge e scopre l’arbitrarietà e la violenza del proprio compito; la visione di quelle «creature opache» fa insorgere in Amerigo il bisogno struggente di bellezza. Si chiede, allora, cosa sia questo bisogno struggente di bellezza in un mondo che ne è apparentemente deserto. Ad un certo punto osservando le carte d’identità delle monache si rende conto di una diversità del loro sguardo: «Le monache […] posavano di fronte all’obbiettivo, come se il volto non appartenesse più a loro, e in quel modo riuscivano perfette […] la fotografia registrava questa immediatezza e pace interiore e beatitudine. Ecco che risorge in Amerigo la domanda sulla felicità: allora la beatitudine esiste? E se esiste, va perseguita a scapito di altre cose? per essere come loro, le monache?». Ancora più sorprendente è il fatto che gli «idioti» nelle loro carte di identità appaiono felici. Amerigo inizia a prendere coscienza che in lui la pretesa di essere giusto, di perseguire buoni principi e valori inappellabili ha da tempo sostituito il desiderio di essere felice e ha, per così dire, offuscato il suo animo, lo ha reso triste, dagli occhi lucidi e privi di commozione. Ebbene quegli idioti hanno un volto felice perché sanno a chi essere grati. Bellissimo il discorso che il presidente di seggio tiene dopo una delle tante sfuriate di uno scrutatore di partito contro i poveri idioti: «Sono qui, poverini, che la piccola casa della Divina Provvidenza li ha tenuti fin da piccoli! E quando vogliono dimostrare la loro gratitudine, poverini, li volete impedire […] e che idea vuole che ci abbiano più che la gratitudine? […] Ce l’hanno la volontà di votare! Più di tutti quelli che sono fuori! Perché sanno cos’è la carità!» Allora Amerigo chiede: «Gratitudine a chi?». Il presidente risponde: «A Dio nostro Signore e basta». Come bellissimo è il dialogo tra una scrutatrice e un uomo deformato del Cottolengo, orgoglioso delle proprie capacità e consapevole del proprio debito di gratitudine: «Io so fare tutti i lavori da me […], sono le suore che mi hanno insegnato. Qui al Cottolengo facciamo tutti i lavori da noi. Le officine e tutto. Siamo come una città […] non ci manca niente. Le suore non ci fanno mancare niente». Lei allora gli chiede: «A chi vuol bene? Alle suore?». Lui risponde: «Grazie alle suore sono riuscito a imparare. Io senza le suore che mi aiutano sarei niente. Ora io posso fare tutto. Non si può dire niente contro le suore. Come le suore non c’è nessuno». L’uomo può dire io solo in un rapporto, solo nella consapevolezza del proprio debito di gratitudine per chi ci è padre, per chi ci ha messo sulla strada, ci ha fatto camminare, ci ha permesso di esprimere più appieno la nostra umanità. Assistendo a questo dialogo Amerigo si chiede se questa città che ha moltiplicato le mani dell’uomo sia la città dell’uomo intero e perfetto o se l’uomo in realtà valga quando non consideri mai abbastanza raggiunta la sua interezza. Bellissimo. Bellissima intuizione. L’uomo vale nella consapevolezza della sua dipendenza e nella tensione del suo sguardo verso l’ideale.
Il Cottolengo diventa la prova e insieme la smentita dell’inutilità del fare, della vanità del tutto e insieme dell’importanza di ogni cosa fatta da ognuno, una potente testimonianza contro l’ambizione delle forze umane. Lì ad Amerigo appare chiaro come ogni forma dell’agire umano si modelli sulla preghiera, ogni opera che si compia abbia solo il significato «di variante dell’unica attitudine possibile: la preghiera, ossia il farsi parte di Dio, ossia […] l’accettare la pochezza umana il riversare la propria negatività nel conto di una totalità in cui tutte le penalità si annullano».

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