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“L’isola del Dottor Moreau” 11 - Il giudizio universale

Fonte:
CulturaCattolica.it
I tre uomini vestiti d’azzurro sembrano angeli divini “ritti in mezzo ad un largo spiazzo di sabbia gialla che riluceva al sole, sotto un cielo d’un turchino intenso”.

Quando alcuni degli uomini-bestia assaporano il sangue, e quindi l’isola rischia di cadere nel caos, Moreau convoca l’assemblea delle sue “creature”.
Il tema del giudizio universale compare con una certa frequenza nell’opera narrativa di Wells; in particolare vi è un breve racconto (intitolato appunto “Visione del giudizio universale”) (9) che può gettare luce su questo analogo episodio del romanzo. La raccolta in cui “Visione del giudizio universale” fu inserito risale al 1911, ma essa comprendeva una serie di brevi storie precedenti di Wells, e comunque i due testi presentano una serie di somiglianze impressionanti. Il testo del racconto risulta diviso in nove piccole sequenze; dapprima, il protagonista, che è anche l’io narrante, viene risvegliato dal sonno eterno da un potentissimo squillo di tromba. Uscito dalla sua tomba (il registro utilizzato dallo scrittore è grottesco, con giochi di parole e allusioni umoristiche), il protagonista si ritrova in un immenso spazio ricolmo di “una moltitudine innumerevole (nazioni, patrie, regni, popoli)... E di sopra, di fronte a noi, seduto in trono su una nuvola d’un bianco abbagliante, il Signore Iddio, con tutta la schiera dei suoi angeli”. (10) Wells, nel descrivere l’umanità intera radunata al giudizio di Dio, non rinuncia a inserire qualche allusione al proprio credo darwinista:
Ecco lì Darwin – disse sporgendosi di lato – Quello sì che starà fresco!... Osservi quel tipo, proprio davanti a noi, tutto coperto di peli. Paleolitico, sa. E poi laggiù...”. (11) Nel prosieguo del racconto, Wells illustra con un certo gusto sarcastico e grottesco i versetti del “Dies irae”: “Judex ergo cum sedebit, quidquid latet apparebit, nihil inultum remanebit” (“Non appena il Giudice sarà seduto, tutto ciò che è nascosto sarà svelato, nulla resterà ingiudicato”): Dio giudice (un Dio del Vecchio Testamento, non la Trinità, senza Cristo e senza Spirito) rende manifesta la sostanziale peccaminosità di tutti gli uomini (il re Ahab e il santo profeta sono per Lui ugualmente meschini e ridicoli), e tutti si rifugiano nelle Sue immense maniche (largo di manica, si dice...), implorando la Sua misericordia. Alla fine del giudizio, Dio scuote fuori dalle Sue maniche tutti gli uomini, depositandoli su un nuovo bellissimo pianeta della stella Sirio: “Ora che mi capite un poco meglio, e un po’ meglio vi capite a vicenda... ebbene, provate da capo”. (12) Questa versione del giudizio universale, se da un lato esalta l’infinita misericordia divina, dall’altro è tipicamente darwiniana: il destino dell’umanità è una evoluzione verso uno stadio superumano, nel quale il rapporto con Dio è puramente legale, non sicuramente amoroso. Dio inoltre, dando una seconda possibilità agli uomini, riconosce il sostanziale fallimento della propria Creazione. E’ quanto accade, sia pure sotto forme diverse, anche nel romanzo.
Nell’IDM, Moreau convoca tutta l’assemblea dei mostri: il suo enorme corno da pastore, suonato con polmoni d’acciaio, rompe la quiete sonnolenta del pomeriggio tropicale; una piccola processione di esseri bestiali si raduna nel largo spiazzo. Gli uomini-bestia cominciano a cantare frammenti della “litania della legge”, prostrandosi con terrore davanti a Moreau. I tre uomini vestiti d’azzurro sembrano angeli divini “ritti in mezzo ad un largo spiazzo di sabbia gialla che riluceva al sole, sotto un cielo d’un turchino intenso”. (13) Moreau costringe i mostri a ripetere le parole della legge e rinfaccia alle sue “creature” la violazione di uno dei precetti: “non mangiare carne o pesce”. A questo punto echeggia la frase minacciosa: “Chi trasgredisce la legge... torna alla casa del dolore”. “Casa del dolore”: ma non era stato Moreau stesso, infilandosi un temperino nella coscia, a sostenere che il dolore era qualcosa di insignificante, destinato a scomparire con l’evoluzione? Ecco che qui lo scienziato folle, che viviseziona e manipola senza anestesia, costringendo le sue cavie a emettere disperate urla e gemiti strazianti, utilizza come deterrente il dolore di nuovi tormenti. L’uomo-leopardo, il colpevole, viene quindi inseguito, braccato, ed è Prendick a manifestare per lui “misericordia” uccidendolo per evitargli nuove sofferenze. La misericordia di Dio nel racconto sul giudizio universale diventa qui ideologicamente eutanasia; questo gesto apre la strada alle riflessioni finali del capitolo, in cui si concentra il nucleo dell’atteggiamento “irreligioso” dell’IDM.

NOTE
(9) H. G. Wells, Visione del giudizio universale, in “Il paese dei ciechi ed altre storie”, in “Storie di fantasia e di fantascienza”, Mursia 1966-1980 (Volume I de “Le opere narrative di H. G. Wells”), a cura di Fernando Ferrara, trad. di Paolo Carta.
(10) Id. Ibid., pag. 505.
(11) Id. Ibid., pag. 506.
(12) Id. Ibid. , pag. 509.
(13) H. G. Wells, L’isola del Dottor Moreau, in “La macchina del tempo e altre avventure di fantascienza”, Mursia 1966-80, pag. 330.

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