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Aborto prima causa di morte in Europa

Fonte:
CulturaCattolica.it
Nei giorni scorsi è stato presentato a Bruxelles il “Rapporto sull’aborto in Europa”, elaborato dall’Istituto per le politiche familiari: in Europa nel 2008 si è consumata la morte di 2,9 milioni di bambini non nati, uno ogni 11 secondi, 327 ogni ora, 7.468 al giorno.

Negli ultimi 15 anni solo nell’Europa comunitaria la cifra dei bambini che non hanno visto la luce è di 20 milioni, e l’Italia, insieme alla Gran Bretagna, alla Francia e alla Romania fa parte del gruppo di testa.
Nell’Unione Europea ogni anno si praticano oltre 1 milione e 200mila aborti, un numero equivalente al saldo negativo tra nascite e morti, con un impatto notevole quindi sul calo demografico in atto. Certo rimuovere gli aborti non sarebbe sufficiente a ristabilire un equilibrio demografico e da soli essi non posso spiegare il crollo demografico europeo, ma il loro impatto è notevole. Il tasso di fertilità totale – cioè il numero di bambini per donna – in Europa è tra i più bassi del mondo (1,49 nel 2004). Solo il Giappone (1,38) e la Russia (1,26) fanno registrare tassi inferiori.
I dati dicono che i tassi di natività anche se in ripresa negli ultimi anni sono molto bassi .
Secondo le stime più recenti sul tasso di fecondità totale riferite all’anno 2005, nel nostro Paese nascono in media 1,32 figli per ogni donna in età feconda (il minimo storico fu di 1,19 figli per donna nel 1995). Ma la cosiddetta “soglia di ricambio generazionale” (mediamente due figli per donna) è ancora lontana. Nemmeno il contributo all’incremento del tasso di fecondità riconducibile alla presenza di immigrati è sufficiente.
I figli sono sempre stati una ricchezza, oggi invece si fa fatica a vederli così. Perché?
Nella storia quando si aveva un aumento demografico si è avuto uno sviluppo; si può dire questo anche oggi? I bassi dati di crescita demografica hanno riflessi sugli aspetti economici, sociali, culturali nella nostra società. Nell’enciclica “Caritas in Veritate” Papa Benedetto XVI ricorda come l'apertura alla vita sia al centro del vero sviluppo.
Ma torniamo ai dati, mentre nei 12 Paesi dell’allargamento il decennio tra il 1998 e il 2008 ha visto un calo drastico nel numero degli aborti (-49%, da 550.587 a 281.060), nella Ue-15 si è registrato il fenomeno contrario: un aumento di circa 70mila aborti l’anno, da 855.645 a 926.586 (+8,3%).
Tra i 15, la Spagna da sola rappresenta l’87% dell’aumento registrato negli ultimi dieci anni e certamente la recente nuova legge sull’aborto non potrà che peggiorare la situazione, mentre nei 12 paesi di recente adesione il caso limite è quello della Romania, dove nel 1994 si praticavano 530.191 aborti, scesi nel 2008 a 127.907. Malgrado il nettissimo calo degli ultimi anni, essa rimane il terzo Paese europeo per numero di aborti, preceduta da Regno Unito (215.975) e Francia (209.913); l’Italia è invece quarta con 121.406.
Un aborto su 7 (il 14.2%) nella Ue-27 è stato praticato su ragazze minori di 20 anni, per un totale di 170.932. Numero che sale a 338.217 se si considerano anche i Paesi europei extra-comunitari. Rimanendo nell’ambito dei 27 è chiaro che il problema è più grave per il Regno Unito.
Con 2.863.649 aborti praticati e censiti ogni anno in Europa, di cui 1.207.646 nella sola Ue, nel Vecchio Continente l’aborto sta diventando la principale causa di morte. Più del cancro, più dell’infarto, e in 12 giorni viene soppresso un numero di embrioni pari a quello dei morti in incidenti stradali lungo l’intero anno. A sottolineare il peso che il fenomeno ha sulle società europee potrebbero bastare le nude cifre. Soltanto in due Paesi dell’Unione (Irlanda e Malta) l’aborto è illegale, mentre in 14 è ammesso in certe circostanze e in 11 è invece libero.

L’aborto ormai è purtroppo entrato nel costume sociale e nel sentire comune come una pratica "normale" che ha progressivamente condotto la coscienza collettiva a non considerarlo un atto contro la vita, quanto piuttosto come un "diritto" da parte della donna. La Conferenza del Cairo su Popolazione e sviluppo, nel settembre 1994, ha declinato l’aborto con il concetto di "diritto alla salute riproduttiva”.
L’aborto purtroppo è diventato lo strumento per controllare le nascite indesiderate perché impreviste, perché il bambino è malato o presunto tale, per superare paure dovute a ragioni sociali o familiari o economiche, e questo soprattutto, come si vede dai dati, nei paesi più aperti a campagne massicce di educazione alla sessualità basata sulla prevenzione contraccettiva, e dove più si è deresponsabilizzato l’atto sessuale separandolo culturalmente dall’atto procreativo. La soluzione della diffusione dei contraccettivi non rappresenta un fattore deterrente, ma anzi determina una cultura di rifiuto della vita e una sessualità non responsabile, che alla fine portano ad un incremento del numero degli aborti.
Inoltre il concetto di “diritto” non è mai applicato alla vita nascente che oggi scientificamente non ha quasi più misteri fin dai primi istanti dopo il concepimento grazie alle moderne tecnologie. Ma si fa sempre più fatica ad esplicitare il diritto di esistere di altre persone.
Certo è un problema anzitutto culturale quello dell’accoglienza della vita, e va avviata una rivoluzione culturale che trovi un necessario supporto con decise politiche di garanzia e di sostegno per il figlio e la madre. Lo ha capito bene l’Istituto estensore del Rapporto che alla fine della sua analisi sul desolante sviluppo zero della demografia europea indica alcune interessanti proposte, come quella di promuovere il diritto alla vita tramite la richiesta alla politica di condizioni sociali favorevoli, volte a supportare gli aiuti alla gravidanza intesa come bene sociale, come in Italia ha ampiamente dimostrato l’opera dei CAV e del progetto Gemma. O quella di aiutare finanziariamente le famiglie e le mamme detassando i prodotti dell’infanzia o sostenendo economicamente le mamme. Interessante anche l’idea di monitorare la curva demografica all’interno dei singoli Paesi della Ue, al fine di sostenere politiche comunitarie che risveglino la cultura dell’accoglienza e favoriscano la percezione sociale che la vita, prima ancora della libertà, è un diritto inalienabile che non può essere soffocato.
E come è stato ribadito da Benedetto XVI la questione sociale e quella antropologica non possono più essere separate: “Quando una società s'avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell'uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l'accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono” (CV n. 44).

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