Il Papa ai suoi preti - 5 - Essere preti
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Di fronte a tutte queste domande Benedetto XVI ha voluto considerare due aspetti fondamentali:
- da un lato, l’insostituibilità del sacerdote, il significato e il modo del ministero sacerdotale oggi;
- dall’altro lato - e questo oggi risalta più di prima - la molteplicità dei carismi e il fatto che tutti insieme sono Chiesa, edificano la Chiesa e per questo occorre risvegliare i carismi, curare questo vivo insieme che poi sostiene anche il sacerdote. Egli sostiene gli altri, gli altri sostengono lui, e soltanto in questo insieme complesso e variegato la Chiesa può crescere oggi e verso il futuro.
Ci sarà sempre bisogno del sacerdote completamente dedito al Signore e perciò completamente dedito all’uomo
Nell’Antico Testamento c’è la chiamata alla santificazione che più o meno corrisponde a quello che intendiamo con la consacrazione, anche con l’ordinazione sacerdotale: c’è qualche cosa che viene consegnata a Dio e perciò viene tolta dalla sfera del comune, data a Lui. Ma questo poi significa che ora è a disposizione di tutti, senza legami particolari. Poiché è stata tolta e data a Dio, proprio per questo ora non è isolata ma è stata sollevata nel “per”, nel per tutti. Questo si può dire anche del sacerdozio celibatario della Chiesa. Significa che, da un lato, siamo come preti consegnati al Signore, tolti dal comune, ma, dall’altro, siamo consegnati a Lui perché in questo modo possiamo appartenergli totalmente e totalmente appartenere agli altri. Occorre continuamente cercare di mostrare questa modalità gratuita di amare ai giovani - a loro presi dagli ideali, che vogliono fare qualcosa per l’insieme - mostrare che proprio questa “estrazione dal comune” significa gioia di servire i fratelli con amore gratuito. E di questo poi fa parte quel mettersi a disposizione del Signore veramente nella completezza del proprio essere e trovarsi quindi a disposizione degli uomini. Il celibato è un’espressione fondamentale di questa totalità e già per questo un grande richiamo in questo mondo, perché esso ha senso soltanto se noi crediamo veramente alla vita veramente vita eterna cioè all’amore gratuito che non finisce mai e se crediamo che Dio ci impegna e che noi possiamo esserci per Lui sempre con noi.
Quindi, il sacerdozio è insostituibile perché nell’Eucaristia esso, partendo da Dio, sempre edifica la Chiesa, perché nel Sacramento della Penitenza sempre ci conferisce la purificazione, perché nel Sacramento del sacerdozio è, appunto, un essere totalmente coinvolto nel “per” di Gesù Cristo. Certo oggi è difficile - quando un sacerdote si trova a guidare non più soltanto una parrocchia di facile gestione, ma più parrocchie, unità pastorali; quando deve essere a disposizione per questo consiglio e per quell’altro e così via - quanto è difficile vivere una tale vita. Ma in questa situazione, in questa circostanza è importante avere il coraggio di limitarsi e la chiarezza nel decidere le priorità.
- La priorità fondamentale di ogni esistenza sacerdotale è lo stare con il Signore e quindi avere il tempo per la preghiera. San Carlo Borromeo diceva sempre: “Non potrai curare l’anima degli altri se lasci che la tua deperisca. Alla fine, non farai più niente nemmeno per gli altri. Devi avere tempo anche per il tuo essere con Dio”. Per quanti impegni possano sopraggiungere, è una priorità di trovare ogni giorno un’ora di tempo per stare in silenzio per il Signore e con il Signore, come la Chiesa propone di fare con il breviario, con le preghiere del giorno, per così potersi arricchire sempre di nuovo interiormente, per ritornare nel raggio del soffio dello Spirito Santo. E a Partire da ciò ordinare le proprie priorità: imparare a vedere cosa sia veramente essenziale, dove sia assolutamente richiesta la presenza di sacerdote e dove non si può delegare. E allo stesso tempo accettare umilmente quando molte cose da fare e dove richiesto non posso realizzare perché si riconoscono i propri limiti. Una tale umiltà e verità viene sempre più compresa progressivamente anche dallagente diversamente abituata.
- Saper delegare, chiamare le persone alla collaborazione. La gente lo capisce e anche lo apprezza, quando un sacerdote sta con Dio anche per loro, quando bada al suo incarico di essere colui che prega per gli altri: noi - dicono - non siamo capaci di pregare tanto, tu devi farlo anche per me: in fondo, è il tuo mestiere, per così dire, essere quello che prega per noi. Vogliono un sacerdote che onestamente si impegni a vivere con il Signore e poi stia a disposizione degli uomini - i sofferenti, i moribondi, i bambini, i giovani (queste le priorità) - ma che poi sappia anche distinguere le cose che altri possono fare meglio di lui, dando così spazio a quei carismi. Pensiamo ai movimenti e a molteplici altre forme di collaborazione nella parrocchia. Su tutto questo quanto è importante ragionare insieme e condividere nella Diocesi stessa, creare forme e promuovere gli interscambi. Importante guardare al di là della parrocchia verso la comunità della Diocesi, anzi, verso la comunità della Chiesa universale, che a sua volta rivolge lo sguardo per vedere cosa succede in parrocchia e quali conseguenze ne derivino per il singolo sacerdote.
- I sacerdoti, anche se magari vivono geograficamente più lontani gli uni dagli altri, sono una vera comunità di fratelli, di vissuti fraterni di comunione che si sostengono e si aiutano a vicenda. Ma proprio per non piombare nell’isolamento, nella solitudine con le sue tristezze, è importante incontrasi regolarmente. La Diocesi stabilirà come realizzare al meglio gli incontri tra sacerdoti - oggi c’è la macchina che facilita gli spostamenti - affinché comunque si esperimenti sempre di nuovo la gioia dello stare insieme, dell’imparare l’uno dall’altro, di correggersi a vicenda e vicendevolmente aiutarsi, rincuorarsi e consolarsi, affinché in questa comunione del presbiterio, insieme al Vescovo, si possa rendere al meglio il servizio alla Chiesa locale. Nessun sacerdote è sacerdote da solo ma nel noi del presbiterio e solo in questa comunione con il Vescovo ognuno può rendere il suo servizio. Ora questo dono dello Spirito, questa bella comunione, da tutti riconosciuta sul piano teologico non può non puntare a tradursi esistenzialmente, in pratica, nei modi vari della chiesa locale. E deve allargarsi perché anche nessun Vescovo è Vescovo da solo, ma soltanto Vescovo nel Collegio, nella grande comunione dei Vescovi. “E’ questa comunione - ha sottolineato Benedetto XVI - per la quale vogliamo sempre impegnarci. E penso che questo sia un aspetto particolarmente bello del cattolicesimo: attraverso il primato, che non è una monarchia assoluta, ma un servizio di comunione, possiamo avere la certezza di questa unità, così che una grande comunità ha tante voci, tutti insieme facciamo risuonare la grande musica della fede in questo mondo. Preghiamo il Signore che ci consoli sempre quando pensiamo di non farcela più; sosteniamoci gli uni gli altri, e allora il Signore ci aiuterà a trovare insieme le strade giuste”.
I sacramenti sono naturalmente Sacramenti della fede: dove non ci fosse nessun elemento di fede… non sarebbe più un Sacramento della fede. Gradiremmo il suo parere pastorale su questa situazione: sempre più spesso i bambini, i ragazzi e le ragazze che ricevono i sacramenti della Prima Comunione e della Confermazione si preparano con impegno per quanto riguarda gli incontri di catechesi, ma non partecipano all’Eucaristia domenicale e allora viene fatto di domandarsi: che senso ha tutto questo? Si continua come sempre ad accettarli, pensando che in ogni caso è meglio non spegnere lo stupino dalla fiamma tremolante. Trenta - trentacinque anni fa pensavo che noi stessimo avviando ad essere un piccolo gregge, una comunità di minoranza più o meno in tutta l’Europa. Che si dovesse quindi donare i Sacramenti solo a chi si impegna veramente nella vita cristiana. Poi, per lo stile del pontificato di Giovanni Paolo II ho riconsiderato le cose. Lei cosa ne pensa? Quali atteggiamenti pastorali ci può indicare?
Benedetto XVI ha riconosciuto che in un contesto culturale, pastorale diverso aveva percorso anche lui una strada simile a quella descritta: “Quando era più giovane ero piuttosto severo. Dicevo: i Sacramenti sono i sacramenti della fede, e quindi dove la fede non c’è, dove non c’è una prassi, una pratica sacramentale di fede, anche il Sacramento non può essere conferito. E poi ho sempre discusso quando ero arcivescovo di Monaco con i miei parroci: anche qui vi erano due fazioni, una severa e una larga. E anch’io nel corso dei tempi ho capito che dobbiamo seguire piuttosto l’esempio del Signore, che era molto aperto anche con le persone ai margini di Israele di quel tempo, era un Signore della misericordia, troppo aperto - secondo molte autorità ufficiali - con i peccatori, accogliendoli e lasciandosi accogliere nelle loro cene, attraendoli a sé nella sua comunione”. Nell’attuale situazione occorre tenere sempre presente la verità cui puntare e il percorso di fede diverso da percorrere. Quindi:
- la verità cui puntare: i Sacramenti sono naturalmente Sacramenti della fede: dove non ci fosse nessun elemento di fede, dove la Prima Comunione, la Cresima fosse soltanto una festa con un grande pranzo, bei vestiti, allora non sarebbe più un Sacramento della fede.
- Ma, dall’altra parte, se possiamo vedere ancora una piccola fiamma di desiderio della comunione nella Chiesa, un desiderio di questi bambini che vogliono entrare in comunione con Gesù, mi sembra che sia giusto essere piuttosto larghi. Naturalmente, certo, deve essere un aspetto della nostra catechesi far capire che la Comunione, la Prima comunione, non è un fatto “puntuale”, ma esige una continuità di amicizia con Gesù, un cammino in un vissuto fraterno in parrocchia con Gesù partecipando almeno alla Messa della Domenica. Io so che i bambini spesso avrebbero intenzione e desiderio con i loro amici di andare la domenica alla Messa, ma i genitori non rendono sempre possibile questo desiderio. Se vediamo che i bambini lo vogliono, che hanno il desiderio di andare, mi sembra sia quasi un Sacramento di desiderio, il “voto” di una partecipazione alla Messa domenicale. In questo senso dovremmo fare il possibile nel contesto della preparazione ai Sacramenti, per arrivare anche ai genitori e - diciamo - così svegliare anche in loro la sensibilità per il cammino che fanno i bambini. Dovrebbero aiutare i loro bambini a seguire il proprio desiderio di entrare in amicizia con Gesù, che è forma della loro vita, del loro futuro. Se i genitori hanno il desiderio che i loro bambini possano fare la Prima Comunione, questo loro desiderio piuttosto sociale occorre puntare ad allargarlo perché diventi un desiderio conforme al senso religioso originario in tutti, per rendere possibile un cammino con Gesù che del senso religioso è il volto umano dell’incarnazione, della presenza di Risorto nella Chiesa. Nel contesto della catechesi dei bambini occorre il connubio di un impegno con i genitori rendendo presente, feconda, attraente la vita della fede anche agli adulti, perché dai bambini possano reimparare loro stessi la fede e capire che questa grande solennità ha senso soltanto, ed è vera ed autentica soltanto, se si realizza nel contesto di un consapevole cammino con Gesù, nel contesto ecclesiale di una vita di fede nella presenza del Signore risorto presente nella sua Parola e nei suoi gesti o Sacramenti. Si tratta di tentare e ritentare con fiducia e speranza, invocando lo Spirito, di puntare a convincere un po’, tramite i bambini, i genitori della necessità e del valore di un cammino preparatorio, che si mostra nella partecipazione ai misteri e cominciare a far amare questi misteri partecipando alla preghiera liturgica almeno della domenica.
Si tratta di una risposta abbastanza insufficiente ma è importante, anche in questa situazione difficile di emergenza educativa non perdere la consapevolezza della pedagogia della fede che è sempre un cammino cioè un tentare e ritentare con fiducia e speranza anche quando non si vedono risultati immediati certi che Lui può portare a compimento e noi non dobbiamo subire ma vivere le situazioni di oggi, aprirle a un di più anche piccolo, perché non rimanga alla fine solo qualche ricordo esteriore di cose, ma sia veramente toccato anche minimamente il cuore. Nel momento nel quale veniamo convinti che anche oggi siamo di casa con lo Spirito del Risorto che tenta e ritenta con noi, il cuore nostro è toccato, ha sentito un po’ l’amore di Cristo e chi ci avvicina non può rimanere indifferente per quanto lontano, non può non provare, almeno un po’, il desiderio di muoversi in questa linea e in questa direzione e giungere almeno a una fiamma tremolante. In quel momento possiamo dire di aver fatto una vera catechesi. Il senso della catechesi è portare un po’ la fiamma di quell’amore di Gesù, anche se piccola, ai cuori dei bambini e tramite i bambini ai loro genitori, aprendo così di nuovo i luoghi della fede nel nostro tempo. E’ una paternità, è un puntare a donare la fede che fa crescere la nostra fede e il nostro amore, la vita veramente vita cioè il regno di Dio, la speranza già nel cento volte tanto dell’amore gratuito.