Maturità: cose che accadono
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Bastano due orali per capire che aria tira a scuola. Due, e già ci si fa un’idea. E basta un liceo di periferia, una cittadina qualunque: non serve essere in città! Contestualizziamo. Liceo linguistico nel Nord-est. Una candidata inizia il colloquio orale con un’interessante e “sentita” tesina sulla felicità. Ci ha lavorato con impegno e con passione tutto l’anno, coinvolgendo la filosofia, l’italiano e le lingue. Esordisce raccontando che ha scelto di approfondire questo tema, perché la domanda di felicità è inevitabile, ineludibile: accompagna l’uomo, tutti gli uomini, per tutta la vita.
Fa neanche in tempo a presentare la mappa concettuale, che già il presidente di commissione se ne esce con una frecciatina. “…Oppure ad un certo momento ci si stanca di cercare e si smette…”, chiosa, accompagnando il commento con una risatina che contagia parte della commissione.
E’ il momento della collega di inglese, che, mentre sottobanco sfoglia Io Donna, dice che lei ha optato ormai da tempo per il pessimismo cosmico. Altra risatina di (quasi) tutta la commissione, mentre la studentessa, paziente, attende di poter parlare.
La conosco: sono la sua insegnante di italiano da tre anni. La guardo negli occhi e ci capiamo al volo. So che prova pena per questi adulti che sono lì ad “esaminarla”, che dovrebbero essere testimoni di un bene possibile per il suo futuro ed hanno invece già imboccato la strada senza ritorno della disperazione…
Attende, paziente, ma mica la lasciano proseguire! La docente di tedesco, che sembra intenzionata a ripristinare ordine e disciplina, guarda i colleghi e, strizzando l’occhiolino bonariamente suggerisce: “Lasciatela cercare la felicità, poverina… E’ giovane… Lasciate che si illuda, fin che può… Capirà, col tempo, capirà…”.
Con questo “pat-pat” sulla spalla e questa botta di ottimismo, finalmente la studentessa può iniziare. Parte, lei, raccontando le domande dei filosofi, e poi Leopardi, Montale, Pavese, Calvino…, ma la commissione ascolta solo fintamente partecipe. Come per educazione, perché “bisogna”. Evidentemente la felicità non va più di moda, tra gli adulti. O, più probabilmente, tocca nervi scoperti, mi dico, mentre ascolto, attenta, la studentessa che ho seguito in questo percorso per tutto l’anno, anzi, per tutti e tre gli anni in cui, con lei e con tutti i suoi compagni di classe, dal primo all’ultimo giorno – ci sto pensando ora – in fondo non ci siamo occupati d’altro.
L’ascolto, la guardo, e sono fiera di lei: del suo coraggio, della sua determinazione, della speranza che le si legge negli occhi e che è così potente da “infastidire” e rendere cinico chi speranza più non ha…
Secondo orale.
Titolo: “Il femminismo contemporaneo”. Materie coinvolte: storia, filosofia, diritto. Esposizione in power point, con tripudio di mimose sullo sfondo e carrellata di immagini di collettivi femminili in piazza a manifestare, e cartelli contro questo e contro quello, a rivendicare questo e a rivendicare quello; e “autocoscienza” di qua, e inviti al “separatismo” di là, e un altro titolo in grande: “IO SONO MIA”, con tanto di punto esclamativo finale…
E poi tutto uno sciorinamento di leggi che, grazie alle “battaglie” femministe hanno finalmente liberato le donne dal giogo della famiglia e della società. Legge sul divorzio, legge 194; e la parità, e le conquiste in ambito lavorativo, e le “quote rosa”…
Commissione attenta, questa volta. Ma ancora è solo “storia”. La si conosce; magari si prova un po’ di nostalgia, per quelle foto in bianco e nero, ma è storia che non emoziona più come quand’era “presente” e, in bocca, c’era il sapore della “vittoria”…
Il boato di (quasi) tutta la commissione è quando la studentessa estrae il suo coniglio bianco dal cilindro: la ciliegina sulla torta, da assaporare come chicca finale, ed espone la “teoria del genere” di Elena Gianini Belotti, e recentissima new-entry nei quotidiani “giusti” e nei “salotti bene” in cui si fa (?!?) la cultura (?!?) che poi viene generosamente distribuita alle masse (e alle scuole…).
Sintesi: poco importa di che sesso siamo, perché tanto quello si può cambiare; è il “genere” che conta! Ma il “genere” – ci spiega l’allieva – non è un “dato naturale”, ma un condizionamento culturale che l’individuo subisce nel corso del suo sviluppo. Anzi, è talmente retrivo l’humus nel quale viviamo, che il condizionamento è palese ancor prima della nascita. Eh, sì: la scelta della cameretta, i colori del corredino, i giochi… Tutti condizionamenti esterni che, ben prima del parto, inculcano (?!?) l’idea, nel nascituro, che qualcuno ha deciso al posto suo se sarà maschio o sarà femmina.
Sonori e inequivocabili annuimenti (linguaggio verbale e non verbale) da parte di (quasi) tutta la commissione, e nessuno che chiede qualcosa sui… cromosomi, tanto per dirne una. (Ma i docenti di scienze non ci avevano insegnato che “xx” uguale femmina e “xy” uguale maschio?!). Politicamente scorretto interrompere, questa volta. E poi è vero; forse mi ero un attimo distratta io, con tutte quelle immagini di donne in piazza, arrabbiate con il mondo e con la vita: “un conto è il sesso, un conto il genere”, ci aveva avvertiti la studentessa tre minuti prima. Non confondere, please!
Ma non è finita. O meglio: “E’ ora di finirla” – conclude l’allieva – “con il carattere sessuato (al maschile) del linguaggio tradizionale e con queste regole della lingua italiana, che se hai un sostantivo maschile e cinque femminili, l’aggettivo lo devi concordare al maschile… La prossima battaglia sarà una battaglia linguistica! E’ giunta l’ora di creare un linguaggio che abbia come soggetto sessuato la donna!”.
Mentre lei termina il suo power point lanciando il guanto di sfida del “femminismo contemporaneo”, è tutto un “Bene!… Brava!… Bis!…” da parte di (quasi) tutta la commissione, (maschi e femmine… o “neutra”… a questo punto non saprei…), che commenta soddisfatta: “Finalmente qualcosa di nuovo e originale! Finalmente un’allieva che si distingue! Finalmente una tesina al passo con i tempi!”. Già, mi dico. Indiscutibilmente al passo con i tempi.
Poi inizia il vero e proprio colloquio. E’ il mio turno. Le chiedo esempi di figure femminili che l’abbiano colpita, nel percorso di storia della letteratura di quest’anno, in positivo o in negativo. “In negativo”, mi dice, “le donne descritte da D’Annunzio”. E spiega.
E l’anno scorso? Ci pensa un po’. “In negativo, La lupa, protagonista della novella di Verga”. E ne descrive le caratteristiche.
E in terza? Non ha bisogno di prendersi tempo, questa volta. “Beatrice! Lei sì è un personaggio totalmente ‘positivo’!”. E racconta il percorso compiuto da Dante: dalla fase iniziale dell’amore “extra-nos”, in cui il poeta identificava in Beatrice il senso della propria vita e questo, però, lo rendeva intimamente infelice, insoddisfatto; alla fase “intra-nos”, a cui approda quando muore la sua amata (la lode alla donna, l’amore gratuito, che non chiede nulla in cambio); e infine la fase matura, appagante: lo stadio definito “super-nos”, quando il poeta comprende che Beatrice, “portatrice di beatitudine”, è bellezza che rimanda alla Bellezza, creatura che rimanda al Creatore e che guarda Dante come Dante sente di aver bisogno di essere finalmente guardato. E lo ama come Dante sente, nel profondo, di aver bisogno di essere amato: da qualcuno che abbia a cuore, innanzitutto, il suo Destino. E aggiunge che persino Montale, ateo, grandissimo studioso di Dante, era affascinato da questa sua idea della donna e dell’amore.
Commento della collega di tedesco: “Caspita! Ma per trovare una figura di donna ‘positiva’ bisogna andare al… Medio Evo?!”.
Eh già, le ho detto sorridendo. Eh già…