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La salvezza aperta ai pagani

Fonte:
CulturaCattolica.it
Giovanni P. Pannini, san Paolo prega sulle rovine

La salvezza dei fuori casa. Tra i consigli pastorali che Paolo dà a Timoteo, si legge «Voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità» (1Tim 3,15), ove è custodito il «deposito della fede» (cf 1Tim 6, 20; 2 Tim 1, 14). Sorge subito la domanda sul destino eterno di chi non abita entro le mura domestiche ecclesiali. In particolare: come Paolo pensava si potessero salvare i pagani, che anche lui non avrebbe mai potuto raggiungere; e gli israeliti, che non avevano riconosciuto in Gesù il loro Messia?
Se «nel mistero nascosto da secoli» (Col 1, 26), l’unica e necessaria salvezza viene soltanto da Cristo e la comunione cristiana è a Lui unita inscindibilmente nella profondità del suo essere come il corpo al capo (cf Ef 1, 22s), è possibile salvarsi oltre i confini visibili istituzionali della Chiesa?
Va premesso qualche certezza paolina: il Padre «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tim 2,4); solo Dio può giudicare le coscienze soggettive di chi ignora il vangelo senza colpa e cerca sinceramente la verità; e l’esperto conoscitore delle Scritture non ignorava poi che le vie e i pensieri del Signore sono illimitati e per lo più restano a noi ignoti (cf Is 55, 8s). Ciò non vieta di indagare su una questione di tale portata, per far propri qualche pensiero e via dello Spirito che soffia dove vuole (cf Gv 3,8), e così unirci allo stupore degli angeli, che contemplano da ora il mistero della Chiesa nel disegno della «multiforme sapienza di Dio» (cf Ef 3, 10).
Il problema della salvezza dei pagani, va innanzitutto collocato all’interno del disegno di salvezza incentrato su Cristo Creatore e Redentore, capo della Chiesa suo Corpo (cf Col 1, 12-20; Ef 1, 3-23); nessuno mai è stato ed è totalmente estraneo all’azione dello Spirito di Cristo, del quale ogni uomo creato è sempre - lo sappia o meno - immagine palpitante, anche se appena abbozzata e sfigurata dal peccato, ma anelante intrinsecamente a farsi consapevole e perfetta.
Nella lettera ai Romani è descritto ciò che di fatto però è avvenuto nella storia dei pagani (cf Rom 1, 18-32): stoltezza dell’intelletto che non sa arrivare a Dio tramite i segni della creazione, perversione brutale dei costumi, idolatria (cf At 17, 26-29).
Da qui - «dopo la tolleranza…nel tempo della divina pazienza» (Rom 3, 25s) - la necessità della giustificazione che proviene dalla fede in Cristo Signore e dalla sua grazia (cf Rom 3, 21-26 e At 17, 30s)). E tutta l’opera di evangelizzazione di Paolo, rivolta specificamente ai pagani, è testimonianza della premura che tutta la Chiesa deve avere nell’annunciare anche ad essi ciò a cui naturalmente aspirano - conformarsi a Cristo, a immagine del quale sono stati creati - e che Cristo è venuto a portare: «Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annuncio» (At 17, 23). Lo spinge l’amore di Cristo: «Egli è morto per tutti, perche quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per Colui che è morto e risuscitato per loro» (2Cor 5, 14s). «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Gl 3,5). Ma prima deve credere in lui, avendone sentito parlare da chi lo annuncia per un mandato ricevuto (cf Rom 10, 13s).