Nel convento dei Maroniti
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Oggi è il giorno della nostra partenza dalla Terrasanta. E’ il 7 gennaio 2009: il Natale ortodosso. Salim è tornato dalla sua famiglia; al suo posto ci farà da guida don Pedro, un sacerdote brasiliano, ulteriore segno della universalità della Chiesa, che qui risplende pur tra le ferite e le contraddizioni. Nella tarda serata dell’Epifania un messaggio della compagnia aerea El Al ci avvertiva che la nostra partenza da Tel Aviv sarebbe avvenuta con alcune ore di ritardo. Nel frattempo, sempre catastrofiche le notizie sulla nevicata nel Nord Italia: la pista di Malpensa viene data come chiusa fino alle 15.30. Sicuramente il nostro pellegrinaggio ci vuole richiamare al rischio continuo dell’avventura umana. Con un po’ di nostalgia nel cuore prepariamo le valigie e lasciamo il maestoso “Ramada” per dirigerci alla porta di Sion, dove incontriamo don Pedro. Torniamo con lui nella Città Vecchia; con un po’ più di agio visiteremo di nuovo il Suk e il Santo Sepolcro. Don Pedro ci guida lungo il Cardo romano, dove imponenti resti di colonne, mosaici e altri resti archeologici documentano il dominio della Città eterna sulla Città santa per eccellenza. Poi, alcuni preferiscono curiosare nel mercato, in cerca di souvenir irrinunciabili; altri tornano alla Basilica. Di nuovo sul Calvario, di nuovo nel luogo del Risorto. Si prega assieme, si chiede la propria conversione, si affidano le persone care, i fratelli, il Movimento... Alle 11.30 appuntamento comune, con qualche breve disguido per chi si è perso tra le bancarelle; poi dai Maroniti per la S. Messa e il pranzo. Rivediamo Sobhy nel suo “regno”; il convento maronita presso la porta di Jaffa è un’oasi di bellezza e di pace. Saliamo alla chiesetta, dove icone di San Marone fiammeggiano in ogni angolo; don Franco celebra la S. Messa che è come un “Te Deum” di ringraziamento per tutta la meraviglia di questa settimana.
“Il pellegrinaggio in Terra Santa, mi ha fatto accorgere con più evidenza del metodo di Dio.
- Dio fa il cristianesimo nella e con la piccolezza esteriore della storia attraverso cui agisce (una ragazza, un bambino, una piccola compagnia… un frammento, un particolare… )
Guardando, ascoltando, vedevo e mi immedesimavo in quelle persone.
Cosa capivano allora?
Cosa capiscono oggi?
Cosa capiamo noi oggi?
Mi viene alla mente l’avvertimento di Carròn nella lettera “Il Natale e la speranza”.
“Ma c’è un inconveniente: anche noi, quando vediamo apparire questo germoglio - come coloro che erano davanti a quel bambino a Nazareth -, possiamo dire scandalizzati: «È mai possibile che una cosa così effimera possa essere la risposta alla nostra attesa di liberazione?». Da una realtà così piccola come la fede in Gesù può venire la salvezza? Ci pare impossibile che tutta la nostra speranza possa poggiare sulla appartenenza a questo fragile segno, ed è motivo di scandalo la promessa che solo a partire da esso si possa ricostruire tutto.”
- Dio accade Tutto in un incontro, affidandosi al sì di Maria e dei discepoli.
Su questo sì, si costruisce la salvezza, cioè l’unione con Dio. E questa unione vince tutto.
In quel frammento c’è dentro Tutto il sì di Dio a cui rispondere il nostro sì.
La testimonianza semplice e preziosa dei compagni di pellegrinaggio, le persone che lì abbiamo incontrato
mi hanno aiutato ad accorgermi di ciò che è accaduto ai primi, perché continua ad accadere adesso: non si tratta di una idea o di un progetto, ma di una amicizia presente (sembra una cosa piccola eppure è grande e potente come Dio), così presente e corrispondente da coincidere con la certezza e la speranza”.