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Dis-graziati in grigioverde - "Soldato Nencini" di E. Jannacci

Fonte:
CulturaCattolica.it

ben presto ha capito che a volergli bene
c’è solo quel cane che mangia la stoppa
tra i vecchi autoblindo, pezzato, marrone


Il suo nome era Nencini, Gastone Nencini, corridore di bicicletta, toscano come Bartali, e come Bartali vincitore al Tour de France nel 1957, nove anni dopo l’impresa salva-patria del Ginettaccio, che ci meritò il rispetto dei francesi, che le balle ancora gli girano. Poi c’è un Nencini, Nencini e basta, che fa parte della galleria jannacciana dei dis-graziati, ed è militar soldato. In qualità di dis-graziato non poteva certo chiamarsi Gastone, nome che da Paperino in poi designa l’uomo baciato dalla fortuna. Tutto il contrario del nostro. Il nostro Nencini era stato baciato non dalla buona sorte ma dalla sua Mariù. Ella gli aveva di certo dichiarato un amore eterno, che in realtà non era durato neanche i mesi della naja: “Sai tristi è aspettare, conviene lasciarsi”. Teh, ciàpa. Nencini è dis-graziato su tutta la linea: terrone di nascita e schedatura, mandato di leva ad Alessandria “perché c’è più nebbia”, afflitto da tre perdite incolmabili che apprende, lui quasi analfabeta, per lettera: della fidanzata, del padre e della capra. Per la fidanzata Mariù, vedi sopra. Del padre si dice solo “a Corfù”: ebbene, nell’isola greca dello Ionio i soldati italiani furono massacrati dai tedeschi dopo l’8 settembre, come a Cefalonia. Quanto alla capra, beh, è solo malata: al momento non è persa, lei: ma il latte sì. Risultato che l’unica cosa non persa è quel cane che mangia la stoppa tra i vecchi autoblindo, pezzato, marrone. A volergli bene c’è (solo) lui.

MACHITTELOFAFARE - Il servizio militare di leva non è mai servito a nulla. Ma nella storia patria la sinistra finì per imporre l’equazione leva obbligatoria generale=democrazia, esercito professionale=dittatura. E’ così milioni di giovani sono stati sottoposti a un periodo di totale inutilità per sé, perché non si imparava nulla, e per il mondo, perché non si era buoni a nulla. Il che a vent’anni non costituisce propriamente un’esperienza di crescita. Due cose soprattutto mi infastidivano perché sommamente irragionevoli. Una era il dominio dell’arbitrio, esercizio di un poterucolo da teatrino dell’assurdo (“esci lo scatolo” mi impose un caporale di 16 anni riferendosi a un imballaggio che stava benissimo dov’era; “lei, perché ha l’ombrello?”, mi tuonò dietro un tenente colonnello costringendomi a rispondere “perché piove che Dio la manda” ). L’altra è la logica onnipervasiva del “machittelofafare”, un invito a non fare o se proprio a fare di malavoglia. Purtroppo sono logiche in corso di validità anche fuori dalle caserme. E si vede il bene che hanno fatto all’Italia.

BRANDA A BRANDA - Devo dire tuttavia che i miei 12 mesi di naja a Novara, non lontano da Alessandria, divisione centauro, 126° battaglione Bergamo, genio pionieri, caserma Passalacqua, incarico 18-A, conduttore automezzi, sono stati anche l’occasione - unica - di vivere gomito a gomito, o branda a branda, con tipi di persone che normalmente non frequentiamo. Ognuno di noi sta normalmente in contesti grosso modo omogenei al proprio status sociale e culturale. Sta vicino al proprio centro e non si avventura nelle periferie dell’umano: gli onesti alla larga dai delinquenti, i benestanti non si mescolano agli straccioni dei bassifondi, i colti non discutono con gli analfabeti. A militare no. A militare stai con una fila di Nencini variamente dis-graziati. [I personaggi che seguono sono veri, ma i nomi sono di fantasia]
Nella mia stessa camerata, due o tre brande in là, il geniere Persichetti Gianvito di Settimo Milanese, tossico da eroina, ululava per crisi d’astinenza quasi tutte le notti, per due settimane, dopo di che fu congedato.
Invece il congedo dovette sospirarlo per mesi e mesi il geniere Torchiana Antonio fu Nicola, di Canosa di Puglia, figlio unico di madre vedova, contadino strappato alla sua terra e all’unica fonte di reddito sua e della madre. Gli avevano assegnato il compito di sverniciare vecchi serramenti, cosa che fece sino all’ultimo giorno con la serietà e la cura che si deve a un campo di broccoli, o a un albero da frutta da innestare.
Il geniere Navoni Piersandro da Milano, bel ragazzo biondo omosessuale, si accompagnava a certe checche piuttosto mature d’età e molto ricche che lo ricompensavano prestandogli Harley Davidson e Ferrari. Fu l’unico commilitone che, da sottufficiale di giornata, non coprii impedendogli di fatto la fuga notturna appunto perché sapevo dei bolidi e di tutto il resto temevo il peggio. Purtroppo non era un timore fasullo. Qualche settimana dopo un altro sottoufficiale di giornata fu più remissivo: Navoni Piersandro lasciò per sempre i suoi 20 anni accartocciati con la Ferrari contro un platano sul vialone che fiancheggia l’Idroscalo.
Il caporale Perassi Franco da Genova era un tipo in gamba ma diversamente vedente, ossia portava due lenti spesse come fondi di bottiglione e per questo, sulla copertina della sua cartella personale era stampigliato a caratteri cubitali un “inidoneo 18A” che voleva dire “guardate che questo qui ci vede un tubo, non fategli mica guidare i camion” e infatti lo schedarono proprio 18-A e lo misero alla guida di un grosso autocarro per tutto il periodo.
Il geniere Dolfini Danilo da Tarquinia era stato lasciato dalla morosa proprio come un Nencini una settimana dopo la partenza per le armi. Per non perdersi d’animo si consolava con altre signorine, pagando s’intende, durante i permessi festivi, in via Vitruvio a Milano. Al rientro si copriva di gloria raccontando ai compagni di ragazze da favola e prestazioni da urlo. Ma sapevamo benissimo che con la sua misera decade, in quei paraggi, poteva acquistare solo sbrigativi incontri in pensioni a una stella con povere donne a fine carriera.
Ma il più dis-graziato di tutti rimane Anzalone Carmine Matteo da Salerno. Parlava solo un incomprensibile dialetto e il primo cambio delle mutande glielo praticammo a viva forza noi suoi vicini di branda il 27° giorno di naja, quello solenne del giuramento. Perché quel giorno lì bisogna essere in ghingheri e far fare bella figura al battaglione.

UN CANE, LA TENEREZZA - Eccoli, i miei amici dis-graziati in divisa di 40 anni fa. Tutto sommato non ci stavo poi male con loro, mi ci ero affezionato e un po’ gli volevo bene. Per qualcuno di quelli più malconci mi è scappata anche qualche preghierina. Ma a chiamarli dis-graziati ho imparato dal Maestro (inteso come Jannacci), ed è proprio giusto perché indica che hanno bisogno della Grazia: preciso come me; e aiuta anche a far memoria del fatto che la Grazia c’è. Presente, presente davvero, non presente per modo di dire, come fa rispondendo all’appello in caserma a nome di un altro che se l’è squagliata o è da qualche parte a farsi i fatti suoi. Presente sul serio, insomma, qui e ora.
E quel cane che mangia la stoppa tra i vecchi autoblindo, pezzato, marrone, che, lui sì, vuol bene al soldato Nencini? Cos’è, niente o segno di una tenerezza donata che non va persa?

SOLDATO NENCINI

Soldato Nencini, soldato d'Italia
semianalfabeta, schedato “terrone”
l'han messo ad Alessandria perché c'è più nebbia
ben presto ha capito che a volergli bene
c’è solo quel cane che mangia la stoppa
tra i vecchi autoblindo, pezzato marrone

Due o anche tre volte ha chiesto un tenente
a un suo subalterno "Ma questo Nencini
cos'ha da sorridere sempre per niente
sorride un po' perso magari a nessuno
e mangia di gusto sto' rancio puzzone
ma è analfabeta e per giunta terrone

E arriva anche il giorno che arriva la posta
che piove e lì dentro c’è tante persone
s’inganna ridendo l’odore di piedi
e c’è più di tutti che ride è il terrone
Gli stanno leggendo del padre a Corfù
c’è stata una capra malata e continua
“Sai tristi aspettari, se non t’amo cchiù
conviene lasciarsi, firmato Mariù”.

Soldato Nencini, soldato d’Italia
di stanza ad Alessandria, schedato terrone,
s’è messo in disparte, sorride un po’ meno
ma di tanto in tanto si ferma qualcuno
E gira e rigira quel foglio marrone
ti mostra una frase, ti dice C’è scritto:
“Sai tristi aspettari, se non t’amo più
conviene lasciarsi, firmato Mariù”.

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