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L’obbedienza è ancora una virtù – 1 – Il problema di Pinocchio

Autore:
Mocchetti, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it
Il problema di Pinocchio è che non sta di fronte alla realtà, è la sua continua fuga da ogni rapporto che lo costringa cordialmente e paternamente a fare i conti con la realtà: perciò diventa preda del Gatto e della Volpe e finisce nel Paese dei Balocchi. Pinocchio diventa discepolo quando comincia a non scappare più da se stesso e dal reale; quando non bara più con la Fata Turchina e con Geppetto: quando, insomma, comprende che obbedire, rischiare il proprio io, è più conveniente del cercare mondi pieni di balocchi che soddisfano il suo istinto, lasciandolo sempre tuttavia di legno, vuoto nell’anima, soprattutto solo.

Il problema di Pinocchio non è quello di evitare la scuola, vendere i libri per andare al circo o diventare lo schiavo di Mangiafuoco; non è nemmeno quello di prendere a martellate il Grillo Parlante, per far tacere la coscienza che lo stimola ad essere adeguato alle regole della società in cui improvvisamente si è trovato catapultato.
Il problema di questo burattino è che non sta di fronte alla realtà, è la sua continua fuga da ogni rapporto che lo costringa cordialmente e paternamente a fare i conti con la realtà: perciò diventa preda del Gatto e della Volpe e finisce nel Paese dei Balocchi.
Ci sono parecchi Lucignolo intorno ai nostri ragazzi e può darsi che, seguendo solo l’istinto e non la ragione, catturati da pifferai magici che promettono uno mondo di sogni, in cui tutti i loro desideri verranno soddisfatti, alla fine si ritrovino nel Paese dei Balocchi e si risveglino asinelli o, più tragicamente, dentro una Second-life virtuale da cui non riescono più ad uscire.
Il fatto è che noi adulti non li introduciamo più al reale, o cerchiamo di attutire tanto frequentemente l’impatto che i ragazzi dovrebbero avere con il quotidiano, che abbiamo cresciuto un io più disposto a “divertere” (cambiare direzione) rispetto alla normale drammaticità del vivere, piuttosto che a “interesse” (essere in mezzo, esserci) dentro il vissuto delle cose e dei rapporti, dentro l’irruzione quotidiana di volti e circostanze, che impegnano la libertà del discepolo e del figlio a rischiare in prima persona energia, cuore, impeto, ragionevolezza: insomma lo splendido inizio della sua giovinezza.
Adulti tanto preoccupati che l’urto del reale non infrangesse il fragile involucro del cristallo che avvolgeva la vita dei ragazzi; adulti tanto tesi a proteggerli dalla fatica di diventare grandi, a coprire le buche che potevano esserci sul sentiero della crescita della loro persona, che non si sono neanche accorti che Pinocchio preferiva seppellire monete d’oro, per farne crescere alberi e prenderne a piacimento, piuttosto che scavare tunnel, setacciare col crogiolo le pepite ottenute con il sudore del corpo, l’intuizione della ragione, la passione del cuore.
Certo che la realtà può essere dolore e quotidiana lotta per la sopravvivenza, se abiti in un quartiere dove la preside della tua scuola tiene sulla parete del suo ufficio le fotografie dei tuoi compagni uccisi in una perpetua guerra per bande, come accade nel film “Ti va di ballare?”; per cui, per sfuggire ad un destino già segnato di membro della gang o di futura donna di strada sei costretto a rifugiarti nello scantinato della scuola. La domanda vera tuttavia è un’altra: perché ti rifugi lì? Non solo perché i due giovani protagonisti del film non hanno un luogo in cui andare, ma anche perché in questo posto hanno trovato un maestro che non ha avuto paura della drammaticità tremenda del loro reale, non si è arreso fatalisticamente all’ovvietà di un loro tristissimo futuro già disegnato. Il maestro ha detto loro “ballare è come camminare…un passo dopo l’altro…seguite il passo di chi vi sta davanti o di chi sta di fianco”: i protagonisti, inizialmente diffidenti, si abbandonano, obbediscono, si sentono considerati per i talenti che hanno, per quello che sono e potrebbero essere: così, facendosi discepoli, diventano grandi. Il problema non è il reale, ma il fatto che si ha talmente paura che possa far male al giovane, che vorremmo rimandare tutti i giorni l’incontro che la sua libertà deve giocare con tutto quello che lo circonda; certo che il reale oggi è fatto spesso di sconfitte, delusioni, dell’urto doloroso intessuto di tradimenti e menzogne; di stupida ottusità o di ignavia acquiescente, disseminato di trappole in cui Pinocchio potrebbe cadere (basti pensare a certi siti di internet); certo che il nihil è più diffuso della certezza ideale, il dubium ed il mendace è più contagioso rispetto alla curiosità aperta della domanda e Narciso sta mortificando sempre più “pulchritudo est splendor veritatis”.
Anche oggi ci sono in giro un sacco di Mangiafuoco, di Gatti e di Volpi ingannatori, ma chi ha mai detto che davvero la realtà sia costituita solo di apparenze, ambiguità, fedi scomparse, speranze deluse, carità disattese? Viviamo l’ormai nota cultura della “dittatura dei desideri e del relativismo” che Benedetto XVI denuncia quotidianamente a ciascuno di noi da papa e prima da cardinale; e allora? di che cosa abbiamo paura?
Se persino i giacobini francesi e Napoleone non hanno osato toccare la cattedrale di Chartres, dopo aver preso a martellate la Saint-Chapelle e trasformato le chiese in depositi di vino o di armi, questo significa allora che “la bellezza salverà il mondo” (Dostoevskij )!! E’ vero che l’ottuso cinismo di Stalin nel 1924 ha fatto abbattere la luminosa chiesa di San Salvatore per trasformarla in una piscina pubblica, mai portata a compimento; ma è altrettanto vero che nel 1990 il primo gesto del sindaco di Mosca nella nuova Russia, sorta dalle ceneri di 70 anni d’ideologia totalitaria, annientatrice dell’io, è stato quello di ricostruire (in un anno!) questa cattedrale splendente di mosaici, così com’era all’origine.
Noi non abbiamo paura del limite, della contraddizione, della sofferenza presenti dentro il reale, perché siamo dei genitori, dei maestri che vivono dentro questo cocktail quotidiano intriso di gioia e di dolore, di casualità e provvidenza, di sporcizia e di Grazia, come negli affreschi di Caravaggio. Pieni di baldanza e di coraggiosa tenacia, noi adulti spalanchiamo i nostri giovani sulla finestra quotidiana del reale, facciamo incontrare loro tutto quello che esso offre e li sfidiamo a stare dentro questa realtà, a giocarsi in essa in prima persona, insomma, obbedendo a quei Banderas che, umilmente ma decisamente, dicono loro, come nel film : “fai questo passo…vieni dietro a me…muovi i piedi così…” : senza paura, perché la realtà è un dono, non un laccio che stringe il collo e soffoca il respiro; in essa non ci sono solo delle maschere, ma volti veri che si fanno incontrare e ti introducono a tutta la bellezza, al bene e alla verità possibili; ma la condizione è starci, seguire, domandare, dipendere, riconoscere, affidarsi, insomma dire di sì; non solo “ma, però, se...” Pinocchio diventa discepolo quando comincia a non scappare più da se stesso e dal reale; quando non bara più con la Fata Turchina e con Geppetto : quando, insomma , comprende che obbedire, rischiare il proprio io, è più conveniente del cercare mondi pieni di balocchi che soddisfano il suo istinto, lasciandolo sempre tuttavia di legno, vuoto nell’anima, soprattutto solo.

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