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L'apprendista... insegnante: 2 - Indicazioni di metodo

Autore:
Mocchetti, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it
Suggerimenti di metodo per i docenti che vogliono imparare questo mestiere

Certi di quello che si è

Qualunque sia il proprio temperamento o il livello di esperienza vissuta, bisogna entrare sempre in classe certi di se stessi, di quello che si è e di quello che si deve fare. Gli alunni devono percepire da subito una presenza decisa, intransigente verso ogni forma d'istintività infantile o adolescenziale. Immediatamente deve essere fondata la roccia della dipendenza del discepolo dal maestro: il discepolo ascolta, obbedisce, sta alla realtà ( in questo caso la figura di un adulto e il percorso della conoscenza della disciplina). Il maestro non cede su niente che non sia occasione per spalancarsi insieme sull'avventura quotidiana del reale. La vera autorità è quella che si riconosce, non quella che s'impone come ruolo: gli alunni la riconoscono, la stimano e la seguono perché sanno di avere a che fare con un adulto che, a sua volta, dipende da una compagnia più grande, un adulto che magari è professionalmente imperfetto o ha un carattere timido, ma che possiede vascello, equipaggio, mappa per giungere all'isola del tesoro.

Mai provvisori

Non si è in quella scuola o in quella classe di passaggio. Non si può vivere questo mestiere con la mentalità più o meno esplicita della transitorietà: si entra in classe sempre con il desiderio che si verifichi "il tutto nel frammento". In quell'anno scolastico, in quel mese, in quella settimana, in quel giorno, in quell'ora può accadere "il miracolo" che ogni docente sogna: l'incontro pieno di ragioni e di passione tra il proprio io e la libertà del tu che hai di fronte, che si offre e che sale sul vascello con te per andare in mare aperto. La facoltatività illude sé e delude amaramente il tu a cui fai la promessa di andare insieme a scoprire il tesoro della conoscenza. La facoltatività è l'atteggiamento del "ci sono, ma a tempo determinato, perché altri sono i miei progetti", è come un patto già sleale in partenza: si chiedono la ragione e il cuore dell'alunno, senza compromettere sé fino in fondo, perché si reputa che la vera vita sia altrove, altre siano le cose più importanti da fare.
I ragazzi hanno un specie di sesto senso per questo atteggiamento di facoltatività, perché uno dei bisogni più profondi che hanno è quello dell'appartenenza. E' chiaro che magari l'anno successivo le circostanze ti conducono altrove e tu obbedisci al disegno che il Signore ha per te, leggendo e giudicando le scelte da fare con la compagnia di cui ti fidi: ma questa è un'altra cosa!! Tu intanto, in questa circostanza (classe, colleghi...) fai tutto quello che devi fare come se fosse la scelta definitiva della tua professionalità, altrimenti finisci per ingannare te stesso e non essere serio con il tuo lavoro.

Non "amiconi" ma adulti

Non ci si fa mai "amiconi" degli alunni, non si scende mai a livello della loro adolescenza per "conquistarseli": è un grande e tragico errore pedagogico, analogo a quello dei papà e delle mamme che dicono: "…Io sono l'amico dei miei figli...". Noi siamo gli adulti, siamo le persone grandi a cui loro guardano, siamo i capitani e i sottufficiali del vascello; loro sono i mozzi, i marinai, e quindi devono alzare le vele e pulire la tolda. Per imparare tutto (anche a leggere il cielo stellato e a contemplare i guizzi dei delfini lungo l'orizzonte dell'oceano), devono guardare, con rispetto, sano timore e ingenua curiosità, ai loro maestri, i quali si fanno incontrare dai discepoli, condividono, rischiano un rapporto con loro, ma mai su un piano di parità, perché il ragazzo è l'apprendista e tu sei il maestro di bottega.
Nel film "Master and Commander", vale la pena di rivedere bene lo straordinario rapporto che il capitano e il suo vice instaurano con i giovanissimi sottufficiali della marina inglese, specialmente con quello che all'inizio dell'avventura vede mozzato il braccio dalla tempesta di fuoco del vascello francese "Acheron".

A partire dalla lezione

Il rapporto con gli alunni non è mai una connivenza, ma proprio il contrario: si tratta di una convivenza, con tutta la drammaticità delle diversità anagrafica, temperamentale e di storia che esistono tra il maestro e il discepolo. Si incontrano i ragazzi soprattutto durante la lezione, perché essa è veramente lo spazio privilegiato dell'incontro fra il proprio io e il loro tu. E' sbagliato considerare gli spazi scolastici destrutturati come l'occasione "per conoscerli meglio": in parte è vero, ma un docente non aspetta la mensa o la ricreazione per vivere un'affezione con gli alunni. La conoscenza e il rapporto nascono e si sviluppano in quella norma pedagogica sovrana suggerita da "Il Rischio Educativo" di Don Luigi Giussani: "s'impara facendo" e poi quella del realismo: "il metodo è indotto dall'oggetto".
Quindi si vive dentro la lezione e a partire da quello che il ragazzo è, così com'è: se lui non è adulto, non devi certo farti "ragazzo" per incontrarlo!!! Ci sarà sempre il tempo della cordialità e della familiarità, ma questo avverrà quando il ragazzo avrà capito di avere a che fare con adulti che magari potranno sbagliare, ma sono e sanno più di quanto lui sia o pensi di sapere.

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