Ricominciamo dallo stupore - 1 - La realtà come segno
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“…Il cielo nero fu stracciato e arrotolato come un telone, si svelarono splendori… mentre salivano e discendevano dalla collina, l’universo di Dio tutto intero si aprì davanti ad essi come un ventaglio gigantesco; poi, quasi sotto i loro piedi, videro il mare infinito allargarsi in fondo ad una valle che finiva in forma di baia, il mare infinito che fiammeggiava luminoso, l’alba si diffuse sopra le loro teste come un’esplosione cosmica: un lucente fiorire di raggi nel silenzio, il mondo frantumato senza rumore. Di fronte ai raggi del sole vincitore, un arcobaleno si sfasciava con i suoi colori sfumanti dal bruno al turchino, dal verde al rosa dorato, come se l’astro nascente spazzasse via davanti a sé tutti i colori del mondo.” (da G. K. Chesterton, “La sfera e la croce” ).
• Da quando abbiamo perso la meraviglia? Perché non ci sorprendiamo più? Perché non riusciamo più a dire - come una saggia madre al suo bambino: “Come è bello il mondo e com’è grande Dio”? Quale Chernobyl ha così devastato i nostri occhi, il nostro cuore, la nostra ragione che non siamo più attenti alla bellezza del reale e non ci commuoviamo più per le emozioni e le domande che esso pone al nostro “io”?
Eppure i tramonti, le albe, il prato sfavillante di fiori, il brillare del sole sulla neve, le nuvole drappeggianti il cielo di forme fantasiose ci sono… c’è ancora tutto questo spettacolo della Creazione. Tra i cespugli estivi sono persino tornate quelle lucciole, di cui Pasolini denunciava la scomparsa in un famoso articolo comparso in prima pagina su “Il Corriere della Sera” negli anni ’70!
Che cosa sono questo continuo affanno, questa perenne distrazione, questa colpevole dimenticanza, questa ottusa abitudine, questa superficialità o indifferenza che mortificano, uccidono a poco a poco lo stupore di fronte al dato della realtà?
Questo stupore è parte costitutiva della nostra natura alle cui radici c’è l’esigenza del bello, del bene, del vero; noi nasciamo con dentro questo bisogno continuo di stupirci e sappiamo stupirci quando il reale percuote il nostro sguardo con un frammento della Creazione (in fondo siamo Sue creature, come il creato stesso!). Allora cosa è successo alla nostra persona da far dimenticare le parole dei genitori o dei maestri, che ci hanno detto “...guarda… osserva… spalanca gli occhi…”? Siamo diventati così stupidi da non saper più riconoscere che “i cieli e le stelle del firmamento narrano la gloria di Dio”? Ci siamo dimenticati che questi sono i verbi che abbiamo detto e ripetuto ai nostri figli, ai nostri alunni?
• Sia subito chiaro che la mia è una provocazione tesa a recuperare una modalità d’approccio alla realtà, un atteggiamento da vivere nel momento in cui il reale fa irruzione nella nostra vita. Non m’interessano Heidi con la sua capretta, né i fidanzatini di Peynet con lo sguardo sognante verso la luna, né tantomeno fare un appello ideologico di tipo ecologista a salvaguardia del cosiddetto ambiente. Mi sono totalmente estranei gli uccellini che cinguettano sulle piante, le farfalle colorate che volteggiano sui fiori in un approccio di tipo sentimentale, in quanto la conoscenza è affettiva, certo, ma l’affectus, senza la ragione e la curiosità della domanda, resta solo un’emozione effimera.
Di fronte alla volta stellata o ad un arcobaleno, diciamo: “Che bello… è splendido…” e tutto finisce lì, perché il quotidiano poi ci travolge mentre ci si dovrebbe fermare di fronte a tale splendore, si dovrebbe permettere a tale bellezza d’invadere tutta la nostra persona (quindi anche la ragione): solo così sarebbe possibile fare memoria del Mistero che si cela dietro questi “segni” grandiosi della natura, solo così potremmo commuoverci e riflettere in modo tale da ricordarci che tutto ciò ci è dato, non è nostro, non l’abbiamo nemmeno chiesto, l’abbiamo incontrato attraverso una Bontà imprevista e del tutto gratuita.
Allora sapremmo dare il nome alle cose che vediamo, esattamente come ciascuno di noi è stato chiamato per nome con un atto d’amore; perché le cose sono state fatte per noi e le avremmo potute contemplare per l’eternità se, ingannati dalle lusinghe di uno stupido serpente, non ci fossimo fatti scacciare dall’Eden.