Valutare: autovalutazione della proposta educativa - 1
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La valutazione è un processo di verifica conseguente alla concezione che il docente ha riguardo all’educare e al programmare. Se educare significa creare le condizioni perché il ragazzo possa “educere”, cioè venir fuori gradualmente alla propria identità, umanità, intelligenza; se programmare vuol dire individuare una pista di lavoro su cui svolgere un cammino con i ragazzi con degli obiettivi, un metodo, un fine, allora la valutazione consiste nella puntuale e paziente verifica dell’efficacia della propria professionalità e della risposta che il ragazzo dà al cammino educativo proposto.
Infatti il primo oggetto della valutazione non è la maggiore o minore capacità di apprendimento, ma la validità del proprio lavoro di docenti, perché la risposta che il ragazzo dà non può prescindere dal contenuto dell’insegnamento e dal modo con cui è stato trattato.
La valutazione implica il termine “responsabilità” che va equamente distribuito tra la persona del docente e quella del ragazzo: non può essere ridotta ad un brutale quanto mortificante “do ut des”, perché non è automatico che l’alunno dia nella misura in cui il docente dà. La prima cosa da verificare non è quello che il ragazzo ha dato, ma quanto e che cosa la professionalità del docente ha rischiato perché il ragazzo potesse adeguatamente rispondere. La responsabilità del docente consiste nell’avere il coraggio di giudicare il proprio lavoro, di verificare se alla fine del mese o del quadrimestre si è impegnato a svolgere tutto ciò che poteva permettere all’alunno di imparare. La responsabilità del ragazzo consiste nell’usare tutti i propri talenti (anche se ne possiede pochi) per compiere il proprio dovere, per percorrere il cammino di apprendimento che il docente ha proposto quotidianamente.
La valutazione è quindi un tentativo di autovalutazione del proprio lavoro da parte del docente e un giudizio sui risultati offerti dall’impegno intellettuale e umano del ragazzo.
L’apprendimento del ragazzo è specchio dell’insegnamento del docente: se il ragazzo non ha imparato non è forse solo perché non ha studiato, ma è anche perché gli si è insegnato male, con un linguaggio magari poco accessibile, con strumenti che non era in grado di usare, con un atteggiamento di pretesa. Forse il docente non ha rischiato qualcosa di sé nel lavoro e nel rapporto con lui e si è ridotto ad essere un dispensatore anonimo di nozioni. Può sembrare paradossale, ma la prima domanda che il docente deve porsi quando stende un giudizio sulla classe o sul singolo alunno è questa: “Sono stato interessante per loro? Quello che io ho spiegato, letto, raccontato ha suscitato un interesse, ha risposto ad una loro attesa, ha reso più naturali e spontanei l’attenzione e lo studio?”.
Prima di essere interessante per loro, ciò che proponiamo deve esserlo per noi: dobbiamo essere interessati e motivati quotidianamente verso quello che facciamo durante la lezione, altrimenti non possiamo pretendere che lo siano i ragazzi. “Interessante” non vuol dire istintivamente piacevole, facile, ma capace di suscitare interesse nel ragazzo, come conseguenza della passione che il docente ha per il contenuto e gli strumenti del suo insegnamento. Insomma se il docente non crede a quello che fa o dice, non può pretendere che il ragazzo risponda all’ipotesi del lavoro proposta: nel migliore dei casi lo farà per doverismo o per paura.