Fantasy: solo magia ed evasione?
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Le distinzioni precise di generi letterari cui siamo abituati si delineano nel corso dell’800. Tuttavia il fantasy è un genere di difficile definizione; più facile è definire il genere horror per il suo stretto legame con la paura, e la fantascienza, per la sua pretesa di verosimiglianza. Preso fra questi due, il fantasy finisce spesso per essere definito in modo residuale, come ciò che avanza quando dalle opere che concernono il soprannaturale si siano escluse quelle fantascientifiche e quelle horror. Ciò non gli rende giustizia perché malgrado la diversità di materiale esso non è un semplice coacervo, ma si struttura come abbiamo visto intorno ad alcuni grandi filoni, ciascuno dei quali conosce una sua precisa evoluzione.
Rispetto ai generi fratelli, horror e fantascienza, che hanno un repertorio tutto sommato indipendente dalla cultura locale, il fantasy mostra maggiormente la dipendenza da temi tradizionali e anche in qualche modo dal temperamento e dalla cultura locali. Il soprannaturale nordico tende ad essere più cupo e tenebroso di quello mediterraneo, e il fantasy in Germania sfocia spesso nell’horror; in Francia prevale il richiamo all’Oriente, spesso in opposizione alla morale cristiana, mentre in Gran Bretagna gli autori sfuggono allo scontro frontale con l’oppressiva morale vittoriana dedicandosi a smontare i legami logici della ragione, come ben esemplificano le opere di Lewis Carroll. L’America è meno legata alla matrice tradizionale e per questo la sua produzione è più eterogenea e spazia dal sentimentale al comico.
Oggi quando il termine “fantasy” viene usato come etichetta per una moderna categoria di mercato editoriale, è usato spesso in un senso molto ristretto per indicare romanzi ambientati in quelli che Tolkien definì “mondi secondari” (a patto che l’incursione del mondo “altro” sia di segno positivo, altrimenti saremmo all’interno del genere horror). Il mondo secondario è diverso dal nostro perché governato dalla magia.
L’obiezione principale al fantasy verte spesso sulla presenza e sull’importanza della magia, che ne farebbe un genere puerile, adatto solo ai bambini che possono ancora credere a cose cui un adulto non deve più prestare fede. Recenti le polemiche suscitate a questo proposito per esempio dalla saga di Harry Potter. Da un lato un adulto non può leggere con piacere vicende che sa essere false; dall’altro si teme che i bambini possano invece crederle vere. Tuttavia questa obiezione, portata alle sue estreme conseguenze, abolirebbe non solo il fantasy, ma tutta la letteratura ad esclusione della cronaca. Nessuno è costretto a credere nell’esistenza reale e storica di Renzo e Lucia mentre legge “I promessi sposi”, né il sapere che non sono esistiti diminuisce il piacere della lettura. Le creazioni letterarie godono di una forma di esistenza altra, la cui utilità vedremo messa in luce, in particolare proprio per il fantasy, da Tolkien.
L’obiezione verso la presenza della magia nasce dalla potente tentazione che essa rappresenta per l’uomo. La magia in effetti disegna il sogno di un mondo dove il desiderio dell’uomo è sovrano. Anche nel mondo secondario, tuttavia, la soddisfazione dei desideri implica delle condizioni; senza, la magia diventa “magia nera”, è il male stesso: la pretesa di avere qualcosa senza pagarne il prezzo, che ha tuttavia come prezzo finale la perdita di sé e la rovina. Il fantasy non crea affatto un mondo privo di limiti per l’azione dell’uomo: anzi, spostando il limite oltre ciò che all’uomo è possibile nel mondo reale, ma dovendo comunque introdurre un limite ulteriore, non fa che ribadirne la necessità. Il racconto di magia nasce nel punto esatto in cui il mondo reale fallisce lo scopo di essere adeguato all’ideale della corrispondenza tra purità di intenzione e esito dell’azione. Il fantasy racconta la vittoria del bene su ciò che lo minaccia; e se l’horror esprime la paura, il fantasy proclama piuttosto la speranza.
Naturalmente anche questo genere conosce opere che negano la logica stessa del genere, nella duplice direzione di un finale tragico, oppure, e più spesso, dell’ironia.
Vi è in verità un rapporto inversamente proporzionale tra successo del fantasy e superstizione. Verso la fine del secolo XIX si assistette ad una rinascita della credenza nel soprannaturale e, diciamo pure, della superstizione. Ciò diede il via ad una ricca produzione, che non può definirsi fantasy, benché tratti del soprannaturale. In essa si pretende che esso sia vero e il lettore si sente vagamente imbrogliato quando legge una storia consolante, ma alla fine scopre che si pretende da lui che creda che il mondo sia realmente come descritto nella storia. Questo genere di opere non ebbe alcun successo.
Nelle serie televisive odierne, come nei fumetti di Dylan Dog è l’ironia che segnala il distacco tra realtà e immaginazione: le reazioni dei protagonisti di fronte all’orrore sono assolutamente non realistiche, in quanto spumeggianti di humour. Attraverso le battute ironiche la paura è esorcizzata e il lettore o spettatore è invitato a non credere alla realtà di quanto accade. Nello stesso modo in Harry Potter è l’elemento parodistico del mondo dei college che segnala la non verità delle vicende narrate.
Se accade che molti fingano invece di credere realmente a queste realtà, ciò accade al di là delle intenzioni degli autori; ed accade perché questi mondi, pur se a volte paurosi, accendono la nostalgia di un mondo più ordinato, più semplice da capire, dove i cattivi sono talmente cattivi da poter essere odiati senza rimorsi, e i buoni vincono sempre.
Tutti gli uomini usano la fantasia per ottenere una soddisfazione vicaria quando la realtà è frustrante. La letteratura può avere la funzione di fornire alle persone fantasie più nuove, e meglio formate di quelle che ciascuno può elaborare. Tuttavia, una letteratura che avesse solo questo scopo sarebbe poco diversa dalla pornografia, e chi disapprova il fantasy spesso si basa su constatazioni di questo genere. Tuttavia in realtà il fantasy non supporta, ma anzi mette in questione e complica proprio questo aspetto, fin dalla più semplice trama in cui il pieno soddisfacimento dei desideri (tradizionalmente tre) porta non alla felicità ma al disastro. La fantasia non è inutile in quanto permette di “purgare” la confusione presente nel mondo reale, rendendo le scelte morali e le loro conseguenze più chiaramente delineate. I Mondi Secondari del XIX secolo sono spesso mondi in cui Bene e Male, premi e punizioni sono più netti, e quindi facilitano una presa di posizione; anche se quando i personaggi ritornano nel mondo reale spesso la confusione è di nuovo in agguato.
Recuperare una chiara visione del mondo richiede un grande sforzo immaginativo, per vedere in profondità, oltre la barriera di ciò che sempre viene dato per scontato. Il fantasy ha proprio la funzione di rompere gli schemi acquisiti, la potenza dell’abitudine che offusca lo stupore destato dal reale: la stessa funzione di richiamo che il gioco di parole ha dentro il linguaggio. Esso somministra qualche salutare shock alle nostre opinioni su come vada il mondo.