Il mondo dei robot: un'introduzione
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L'invasione dei robot è ormai una realtà, anticipata da migliaia di racconti di Fantascienza. La domanda che gli scrittori di tali racconti pongono è però sempre la stessa: "Che cos'è l'uomo?". Piegandosi a misurarsi con infinite variazioni dell'"umano" (il mutante, l'alieno, il mostro, il clone, il robot, il cyborg, l'androide...), lo scrittore di FS sviluppa con miriadi di percorsi le implicazioni emotive, etiche e filosofiche del rapporto umano/quasi umano.
La storia dei robot è solo un capitolo di queste avventure della conoscenza. Ma che cos'è un "robot"? Di per sé il termine indica "qualsiasi congegno meccanico programmato per compiere una funzione automatica che richieda una risposta flessibile rassomigliante al pensiero" (A. E. Van Vogt). Tuttavia la FS si è occupata particolarmente dell'"androide", cioè di una macchina di forma umana, che imiti e riproduca caratteristiche dell'uomo. L'interesse per la forma umana conferma quella domanda da cui si è preso l'avvio: in fondo l'interesse è per l'uomo stesso, in un tentativo sempre più profondo di autocomprensione.
Con quali valenze si esprime questo rapporto tra l'uomo e l'androide? Per ciò che riguarda l'atteggiamento della macchina verso l'uomo, vi sono fondamentalmente due tipi di robot: il robot fedele e quello ribelle. Quest'ultimo (come ad esempio Hal di "2001: odissea nello spazio" di Arthur C. Clarke) esprime spesso l'angoscia dell'uomo che si vede sfuggire dalle mani, come l'apprendista stregone, ciò che lui stesso ha costruito. Il robot fedele nasce con Isaac Asimov, lo scrittore che sicuramente più di ogni altro ha approfondito questo particolare settore della FS. Esso incarna una reazione cosciente a quella inquietudine che aveva immaginato una possibilità di rivolta della macchina contro l'uomo.
"Mai e poi mai avrei permesso a uno dei miei robot di rivoltarsi stoltamente contro il suo creatore, senz'altro scopo che quello di illustrare per un'ennesima volta, noiosissima volta, il delitto e il
castigo di Faust. Assurdità. I miei robot erano macchine disegnate da ingegneri, non pseudo-uomini creati da individui sacrileghi. I miei robot reagivano seguendo quei binari di raziocinio esistenti nei loro 'cervelli' nel momento della costruzione". (I. Asimov, Introduzione a "Il secondo libro dei robot", De Carlo). Ecco le precauzioni prese dagli uomini per garantirsi contro i robot: le famosissime asimoviane "Tre leggi della robotica", per cui un robot deve anzitutto difendere l'uomo, poi obbedire, poi autoconservarsi. Nasce qui la seconda valenza del rapporto uomo- androide: è migliore l'uomo o la macchina? Asimov non ha esitazioni: è migliore il robot, perchè agisce in modo perfettamente razionale. "...Da un punto di vista morale, il robot è in realtà un essere razionale che si distingue dall'uomo soltanto per il fatto di essere privo della libertà di commettere il male (intendendo questa limitazione come dote positiva e non negativa); in senso più lato, il robot rappresenta la realizzazione concreta degli ideali umani..." (R. Rambelli, postfazione a "Io, robot"). Questa frase, letta nel bailamme della società contemporanea, dove il confine tra bene e male si è pericolosamente confuso e la battaglia per la verità totale assume toni drammatici, è carica di una cospicua dose di ingenuità: quale concetto di bene sarà collocato nel perfetto cervello positronico del nostro robot? E soprattutto, chi lo deciderà, se non il Potere? Ma l'ottimismo scientista di Asimov lo porta a collocare come modello quest'essere necessitato, incapace di libertà e quindi di desiderio, funzionante secondo schemi precostituiti. Un simile quadro è apparso troppo banalmente fiducioso nell'infallibilità delle macchine a numerosi altri scrittori di FS, che stanno "dalla parte dell'uomo". Robert Sheckley, ad esempio, ammicca sornione alla cara, vecchia umanità con tutti i suoi difetti e con le sue capacità di bene e di libero arbitrio. Nel suo racconto "Fool's Mate", una guerra tra due flotte spaziali viene risolta dagli uomini disinnescando i calcolatori ed affidandosi all'imprevedibilità. Così nel racconto "Ultimi riti" di Charles Beaumont
un robot, vissuto per anni in incognito tra gli uomini, chiede a Padre Courtney l'Unzione degli Infermi, mentre è sul punto di "morire", perché desidera ardentemente condividere il destino eterno dell'uomo. A ben vedere affiorano qui più o meno consapevolmente, come in "Pinocchio", alcuni archetipi religiosi presenti nell'esperienza di tutti gli uomini: il rapporto Creatore/creatura, la ribellione originaria, il desiderio di liberazione. Questa istanza di "umanizzazione", che anima molte figure di androidi, fa capire come il termine di paragone rimanga sempre un'umanità piena, e non una pura e fredda razionalizzazione del comportamento umano.
Addentriamoci quindi, guidati da scrittori e registi di FS, nel mondo dei robot.