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L’onestissimo robot è pur sempre uno schiavo

Autore:
Borghi, Carlo
Fonte:
Il Sabato
Niente paura. Non scambierete mai un uomo con un androide. Quest'ultimo ha sempre un difetto. Non sbaglia mai. Un fisico ci accompagna in un futuro sempre più vicino.

Da quando, durante frequenti viaggi, riempivo il tempo leggendo racconti di fantascienza, mi sono rimasti due gruppi di domande. In I Robot(Io robot), una delle sue più riuscite raccolte di racconti di fantascienza, Isaac Asimov fa proporre all'esperto in robotica il problema: come farebbe per riconoscere un perfetto androide da un vero uomo? La risposta era: l'androide sarebbe irrimediabilmente onesto. Dal contesto, appare che qui “onesto” significa “totalmente prevedibile”. Cioè, l'assieme dei microcircuiti dovrebbe essere così privo di errori, di contraddizioni e doppi sensi, e i programmi memorizzati nell'androide dovrebbero essere così privi di ambiguità che le operazioni eseguibili dall'androide mancherebbero di ogni cosa che potrebbe chiamarsi in qualche modo una “libertà”. Esiste persino un teorema di Gauss (nella memoria intitolata Uber Automata), che può essere espresso nei termini suddetti. “Da un presente caratterizzato da un insieme di valori di massa, energia totale, quantità di moto, momento angolare di un insieme fisico, si può derivare una semplice infinità di futuri che ubbidiscono alle leggi conservative (principio di Hamilton). Ma se una causa è libera, ad ognuno di questi futuri, corrisponde perlomeno un'altra semplice infinità di futuri, per esempio quelli definiti dalle condizioni “perché mi piace” oppure “perché non mi piace”, così che nell'insieme ci sarebbe una infinità ad almeno il quadrato di futuri possibili”.
Se dunque è valido il criterio avanzato da Asimov per distinguere un perfetto robot da un vero uomo allora è evidente che in nessun modo un uomo può essere un robot, oppure che nessun costruttore di robot potrebbe costruire un uomo. E siccome l'uomo c'è, sorge il problema su chi abbia potuto costruire un uomo o anche una donna o su come abbia potuto farlo. La risposta, almeno per me, appare ovvia. Tuttavia vale la pena osservare che l'onestà prevista per il perfetto androide, ossia la sua prevedibilità di comportamento, non estingue che il mostro di Frankenstein, non soltanto l'extra terrestre E.T., sia onesto nel senso suddetto, mentre esclude che possano essere davvero robot quei marchingegni con cui, in certe forme deteriori di fantascienza, l'uomo appare occupato a seminare per l'universo le proprie magagne. Quelli non sarebbero robot ma solo travestimenti di uomini e di donne. In ogni modo e nonostante delle deviazioni, la fantascienza, col postulato di Asimov appare come una manifestazione del fondamentale bisogno-ricordo di innocenza che giace nel nostro profondo e di un suo nucleo di religiosità troppo spesso camuffato sotto apparenze infantili, sotto forme sdolcinate e insufficientemente motivate di “bontà”. Talvolta, il bisogno-ricordo prende la forma patetica del trasferimento simbolico su personaggi fantascientifici d'immagini e di concetti già immersi nella nostra cultura dal cristianesimo.
Tale è, a quanto pare, il caso di E.T. che viene fatto morire, resuscitare e ascendere al cielo promettendo ai suoi cari amici bambini di rimanere sempre con loro. Come se E.T. fosse il rimpianto del Cristo perduto dalla cosiddetta vita moderna.
La seconda classe di domande, invece, parte dalla constatazione che l'uomo costruisce robot per giocarci o per destinarli a lavori che ha paura o vergogna a compiere di persona. Molte e gravi sono le cose da dire su quelli che chiameremo robot “operativi”, ossia macchine con riserva d'energia per compiere lavori.
Prendete esempi di lavori nei quali troppa dovrebbe essere la fatica e troppo alto il costo umano. Immaginate che, col progresso tecnologico su cui abbiamo evidenza sperimentale si possa costruire un robot non molto costoso, controllabile e sicuro, vedrete che chi ha bisogno e interesse per i prodotti di quei lavori e ha i necessari mezzi, lo costruirà e lo utilizzerà. Se poi il costo di un prodotto robotico è sensibilmente inferiore a quello dello stesso prodotto fatto da lavoro umano, state certi che il primo sarà preferibile al secondo. Anche perché il secondo non ha problemi d'orario, problemi politici, sindacali, sentimentali o di scioperi, di sabotaggi, di salario.
Appare quindi piuttosto ovvia la tendenza delle società umane a diventare società robotiche o sempre più robotizzate, dove il lavoro umano, e non solo quello manuale, è sempre meno richiesto e necessario e dove la principale occupazione umana diventa la disoccupazione. L'attuale disoccupazione, specialmente quella giovanile, è forse solo l'inizio di una società robotica.