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Le grandi domande – “Universo” di R. Heinlein 2 – La parabola

Fonte:
CulturaCattolica.it
“Il grande problema dell’Occidente è la dimenticanza di Dio: è un oblio che si diffonde”. (Benedetto XVI, Discorso alla Curia, 22 dicembre 2006).

La grande Nave che viaggia nello spazio verso una meta sconosciuta, dato che quasi nessuno a bordo ne ricorda l’Origine e il Destino, richiama con grande evidenza la condizione della Terra, pianeta dove l’oblio e la dimenticanza di Dio si vanno diffondendo. Nel romanzo “Universo” il protagonista, Hugh Hoyland, è fuor di dubbio il prototipo dell’uomo vero, pieno di domande:
“Ma tu, zio, non hai proprio nessuna curiosità?”
“Lui voleva andare dappertutto, vedere tutto, scoprire il perchè delle cose”.
“...un dolore segreto, profondo gli bruciava dentro... ‘Vorrei sapere che cosa significano tutte queste cosa, Testimone. Perchè ci sono tutti quei ponti sopra di noi?”
“Che significato aveva...tutto quanto? Possibile che nella vita non ci fosse altro che mangiare, dormire e, alla fine, partire per il Grande Viaggio? Forse Jordan (il dio della religione nata a bordo dell’Arca spaziale, n.d.r.) non voleva che lui capisse? Ma allora perchè quell’ansia, quella pena nel cuore? Quella specie di fame che persisteva, nonostante i buoni pasti?” Hugh divora antichi libri, ma riconosce: “C’è molto poco che si possa imparare, senza una guida”. A bordo della Nave, la gente che conta si divide in due gruppi: i fanatici dell’Equipaggio, depositari di una serie di Norme e custodi rigidi dell’ortodossia (“L’Universo è la Nave”), e i pragmatici materialisti, che non si pongono troppe domande: “La Nave era la Nave. Era un fatto che non esigeva nessuna spiegazione. Quanto a Jordan... chi Lo aveva mai visto? Chi Gli aveva mai parlato? Che cos’erano quei Suoi vaghi Disegni? Scopo della vita era vivere. Un uomo nasceva, viveva la sua vita, e infine se ne andava al Convertitore. Queste fantasie erano residui dell’adolescenza della specie, quando gli uomini mancavano ancora dell’intelligenza e del coraggio necessario per guardare in faccia la realtà”. Sembra di leggere Natalino Sapegno che commenta le domande radicali di Leopardi. La sete insaziabile di Hugh incontra un personaggio sorprendente: Joe-Jim, un “diverso”, un mutante a due teste che lo cattura e lo guida attraverso “un ordine di cose strabiliante”.
“Il guaio di voi giovani è che quando leggete una cosa e non la capite, ne concludete subito che è una sciocchezza in cui non c’è niente da capire... Non ti ha mai colto il dubbio che il Viaggio sia proprio quello che gli antichi libri intendevano che fosse... che la Nave e l’Equipaggio siano in realtà in movimento, in viaggio verso una meta?” Joe-Jim porta Hugh nella Sala Comandi, e qui il ragazzo compie un’esperienza affascinante e decisiva. Vede le stelle.
“Il creato.
Fedelmente riprodotte, splendenti immobili e serene sulle pareti del planetario come scintillavano nella realtà degli abissi tenebrosi dello spazio, le stelle lo stavano a guardare. Gioielli di luce a profusione, sparsi con magnifica indifferenza e principesco sfarzo nel simulacro celeste, gli innumerevoli soli si stendevano dinanzi a lui, sopra di lui, tutto intorno a lui. Era sospeso in solitudine nel centro dell'universo astronomico. Una prolungata, involontaria esclamazione di stupore uscì dalle sue labbra dischiuse, ove il respiro era rimasto sospeso. Le sue mani stringevano i braccioli del sedile con una tal forza da spezzargli le unghie, ma Hugh non se ne accorse. Né in quel momento aveva paura: gli era rimasto posto per una sola emozione. La vita in seno alla Nave, dura e monotona insieme, non aveva inciso sulla sua innata capacità di apprezzare la bellezza; per la prima volta in vita sua conosceva l'intollerabile estasi della bellezza allo stato puro...Hugh trasse un profondo sospiro. Gli doleva il petto e il cuore martellava dentro di lui. Si accorse a un tratto di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo in cui le luci erano state spente.
- E ora, caro il mio scienziato - domandò Jim - sei convinto?
Hugh sospirò ancora, senza sapere perché. Con le luci accese, si sentiva di nuovo sicuro e protetto, ma inconsciamente sapeva che, avendo visto le stelle, non avrebbe più potuto essere felice.
La sorda pena che aveva nel cuore, la vaga nostalgia profondamente sepolta nel suo essere per la perduta eredità di spazi senza fine e di stelle, non si sarebbe sopita più, anche se aveva visto troppo poco per esserne del tutto conscio.
- Che cos'era? - domandò con voce sommessa.
- Era tutto - rispose Joe. - Era il mondo, l'universo. Tutto ciò che ho cercato di farti capire.”

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