5. Fahrenheit 451 di Ray Bradbury
La letteratura "di anticipazione" fra utopia e immaginazione
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Questa rivolta individuale in nome della dignità è evidente anche per l'unico scrittore non inglese, ma americano, fra quelli citati, ossia Ray Bradbury, normalmente classificato come 'scrittore di fantascienza', famoso per il suo capolavoro "Cronache marziane", scritto negli anni Cinquanta, quando la fantasia si soffermava sulle speranze e sui sogni suscitati dei primi razzi e dai primi viaggi spaziali. Ma, a mio avviso, il vero capolavoro di Bradbury è quello straordinario libro che si intitola "Fahrenheit 451", dove egli immagina un mondo futuro in cui ciò che non è più tollerato è il libro. Anche qui il mondo è dominato da un pensiero unico, che deve controllare capillarmente le coscienze; questo nemico terrificante della libertà, del ragionamento e del pensiero libero deve togliere di mezzo il libro. I libri vengono bruciati, e per questo compito c'è addirittura una sezione speciale della polizia, che deve cercare i libri e distruggerli: 'Fahrenheit 451' è appunto la temperatura alla quale brucia la carta. E anche qui incontriamo un 'eroe' individuale: Guy Montag. Fra l'altro, è uno che appartiene al corpo speciale dei vigili del fuoco, ma ha una forma di resipiscenza e comprende che quello che sta facendo è un grave errore, quando incontra una sorta di samizdat, ovvero un piccolo movimento clandestino che si è fatto carico di salvare questo patrimonio umano che sono i libri, le storie, i racconti. Si forma, così, una catena clandestina di persone che, per salvaguardare quello che i libri raccontano, se li imparano a memoria, prima di essere costretti a vederli bruciare e distruggere. Ognuno di questi personaggi è una sorta di 'libro vivente', e sarà in grado di trasmetterlo ad altri. Anche questa è una sorta di metafora interessante, affascinante, di un mondo possibile che vuole controllare ogni particolare della realtà, che vuole scendere nell'intimità delle coscienze e sradicarvi quello che c'è per sostituirlo con altro, a volte con nulla. Accadeva anche in Orwell, ed è uno degli aspetti più interessanti: oltre al Grande Fratello esisteva una sorta di Ministero per il controllo della memoria storica, il quale andava a cancellare, a correggere i libri, a riscrivere la storia in maniera conforme ai dettami del potere. Chi controlla la storia, il pensiero, controlla radicalmente le coscienze… L'unica maniera di opporsi a questa invadenza del potere è la memoria, una delle potenzialità umane più importanti, non solo la memoria intesa nel senso di ricordare le poesie lette tanto tempo fa, ma piuttosto come la facoltà che rende, in qualche modo, ancora presente una realtà, un avvenimento. I protagonisti di Bradbury conservano con la memoria la bellezza dei classici, dei libri più importanti, quel patrimonio che, se fosse andato perduto, avrebbe lasciato l'umanità molto più povera, fragile, defraudata delle cose che contano. Fahrenheit 451 è un'opera tanto più significativa, quanto più appare paradossale: non si capisce, infatti, il perché di questo accanimento contro il libro; ci sono altri modi, del resto, per controllare gli individui, le coscienze. In fondo, l'apologia del libro che fa Bradbury è significativa proprio perché è insieme l'apologia non tanto della cultura in senso intellettualistico, quanto della cultura intesa, appunto, come memoria, conservazione e trasmissione del bello e, forse, anche del buono. Con Bradbury, questo unico americano dopo la lunga sequenza di autori inglesi, si conclude questa mia cavalcata attraverso questi scrittori particolari che, senza fare del moralismo e senza salire in cattedra – dalla ventenne Mary Shelley fino ad altri autori spesso non professionisti delle lettere (pensate a Benson, che era un prete, o ad Orwell, che era un funzionario statale…), ebbero comunque una capacità, una lucidità da 'visionari' ispirati nell'intravedere aspetti del mondo che sarebbe venuto. La 'grande letteratura', di solito, viene identificata con la letteratura contemporanea realista – il Novecento ha deprezzato tutta la tradizione letteraria dell'immaginario, che pure ha dato dei giganti, da Omero a Shakespeare, passando per Dante – o, piuttosto, la critica letteraria ha cercato di imporre la letteratura realista come l'unica degna di questo nome. Invece l'uomo è anche desiderio di immaginazione, non necessariamente per voltare le spalle – e la coscienza – alla realtà, ma semplicemente per sperimentare nuove ipotesi, per porre scenari a volte assolutamente inconsueti e improbabili, come quelli presentati da Chesterton e da altri… Ma, attraverso questo ribaltamento del reale, attraverso questa pre-figurazione di nuovi scenari, in fondo tutti questi autori, pur con le loro sfumature - chi con una profonda religiosità, chi semplicemente con uno scetticismo comunque sempre fiero della propria umanità e libertà – hanno immaginato un futuro, hanno 'fatto' dell'utopia non per produrre della letteratura di evasione, ma per riflettere loro stessi, e per trasmettere attraverso le loro opere l'inquietudine che vivevano rispetto ai loro tempi: da Bram Stoker e Mary Shelley, che assistevano a un Ottocento tronfio delle proprie certezze, in procinto di sfidare anche le barriere della morte, fino agli autori del Novecento, che si sono trovati di fronte alle grandi ideologie, alle grandi opere di 'architettura sociale' che cercavano di rimodellare non solo il mondo e la società, ma anche l'uomo stesso. Queste sono state, con tutti i danni che hanno prodotto, e tuttora sono le vere utopie, ossia le ideologie che ancora cercano di realizzare opere di architettura sociale in grado di costruire un mondo dove è inutile essere buoni, o dove, semmai, la bontà viene indotta con vari meccanismi. Ebbene, ancora oggi, pur a distanza di molto tempo, non possiamo leggere questi scrittori senza sentire tutta la loro inquietudine e, al contempo, tutta la loro passione per l'uomo, per la libertà umana. Questo ci può aiutare non a fuggire la nostra realtà, bensì a vivere in maniera più adeguata le sfide che abbiamo di fronte. Potrebbe sembrare strano parlare di letteratura di immaginazione, di letteratura utopistica, di fantasia, quando abbiamo intorno un mondo che ci pone quotidianamente tutta una serie di problemi, di difficoltà, dalla guerra alla violenza… Ebbene, la 'letteratura di anticipazione' prendetela in mano con grande gusto e con grande speranza, perché, appunto, non vi serve per sfuggire, per dimenticare le brutture del mondo: serve, piuttosto, a rendervi più attenti, più svegli nei confronti di questo mondo. Il vero problema è dato dal fatto che il mondo che molti di questi scrittori si erano solo immaginato si è in gran parte realizzato, soprattutto laddove si è prospettata una società anestetizzata, che ha perso la voglia di combattere, di reagire di fronte alle imposizioni del pensiero unico. Oggi questo sembra essere uno scenario non più così utopistico, così immaginario come appariva ai tempi in cui essi scrivevano: viviamo, in effetti, in una realtà sempre più anestetizzata, siamo sempre meno capaci di reagire al potere, al pensiero unico, che c'è e si va imponendo… Perciò leggere questi scrittori non significa fuggire la realtà, ma, al contrario, attrezzarsi adeguatamente per affrontarla meglio.