6. Conversazione sul futuro con Paolo Gulisano
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La letteratura "di anticipazione" fra utopia e immaginazione

Domanda – Paradossalmente, sono interessato a qualcosa che non ha detto, più che a quello che ha detto, vale a dire: ha parlato della cultura anglosassone… Che ne è del resto della cultura occidentale? E ancora: questo pensiero unico che ci avvolge ora, come lo potremmo descrivere?
Gulisano – La domanda è interessante. Perché abbiamo parlato di questi autori piuttosto che di altri? Perché, in effetti, in altre letterature, in ambiti culturali di altri paesi, tutto questo non è emerso. La principale produzione di romanzi di questo genere, ossia dei romanzi utopici, dei romanzi di immaginazione o, meglio, di "anticipazione", è nata proprio lì. Non ci sono stati un Orwell o un Benson o un Chesterton italiani… Dispiace, ma non ci sono stati; e nemmeno in Francia. Il Novecento ha visto il fiorire di una grande letteratura, ma sempre di tipo realistico, ossia tesa a descrivere la contemporaneità, quello che vi è intorno; così come nell'Ottocento era tesa a guardare alla storia: i grandi romanzi storici dei sommi scrittori russi, Dostoevskij, Tolstoj, ecc. Ci sono, nelle letterature europee, e anche in quella americana, queste grandi opere, spesso con uno spessore epico: ma tutte hanno guardato o intorno a sé, per descrivere il mondo contemporaneo, oppure a episodi significativi del passato, attraverso i quali leggere la condizione umana. In Inghilterra, invece, è nata questa letteratura d'anticipazione. Non è un caso che molti di questi autori fossero cattolici, autori che non potevano parlare di una propria storia, perché era stata condannata, esecrata: tutto il passato, il Medioevo inglese, infatti, poteva essere oggetto di racconto, ma sempre solo in chiave anticattolica, sempre mostrando il passato come 'i tempi bui'… Non poteva nascere in Inghilterra un Alessandro Manzoni, ossia qualcuno che raccontasse ed esaltasse valori, situazioni e uomini di un passato di cui non si doveva parlare. Anche parlare della contemporaneità non era facile; ed ecco allora il futuro diventare uno spunto per trasmettere dei giudizi, per mettere in guardia da alcuni aspetti, da alcuni elementi inquietanti, non solo di un eventuale futuro, ma anche del proprio tempo. Orwell, Huxley, Benson parlano agli uomini del proprio tempo.
La letteratura dell'immaginario ha questo vantaggio: può servirsi, in qualche modo, anche della metafora. Durante gli anni del regime comunista, in Unione Sovietica, un genere letterario molto amato dall'opposizione era quello fantastico. Anche se poco conosciuti, tantissimi sono i romanzi di fantascienza scritti in quegli anni, nei quali, proiettando tutto magari su altri pianeti, o in tempi molto lontani, si poteva fare una critica del regime, del totalitarismo, senza correre rischi: non si poteva criticare apertamente la contemporaneità, ma neppure si poteva esaltare la Russia degli zar… Allora, l'unico modo di esprimere la creatività di chi aveva voglia di narrare cose belle e significative, era la fantascienza. C'è una straordinaria produzione fantascientifica dei paesi dell'Est. Ad esempio, c'è uno straordinario romanzo di fantascienza pura – di cui non ho parlato solo perché mi stavo occupando di un altro genere, quello 'utopistico', quello della 'fanta-politica' – scritto negli anni Sessanta dal polacco Stanislaw Lem, che si intitola "Solaris", dal quale è stato ricavato il celebre film di Andrej Tarkovskij, che, a sua volta, è una lettura straordinaria della condizione umana. Il libro ha un notevole spessore etico, è un grande libro, pur nella modalità di raccontare tipica della fantascienza, con le astronavi ecc. Perfino un grande scrittore cristiano come Clive Staples Lewis, carissimo amico di Tolkien, all'inizio della sua carriera, prima ancora di scrivere i saggi di apologia del cristianesimo, disse le stesse cose in un altro modo, scrivendo romanzi di fantascienza…
La fantascienza, dunque, è una sorta di spiraglio di libertà, uno spazio libero dove poter dire quello che altrimenti non si sarebbe potuto dire. Non ci sono molte tradizioni di questo genere, al di fuori di quella anglosassone. In Italia, ad esempio, non c'è mai stata una tradizione né fantascientifica né fantapolitica. Qualcuno, per la verità, ci ha provato, ma con scarsi esiti: nel campo della fanta-politica si possono citare un paio di romanzi di uno scrittore sfortunato, Guido Morselli, che morì suicida anche per lo sconforto di vedere respinti i suoi scritti dagli editori. Dopo la sua morte, i suoi romanzi vennero finalmente pubblicati. Sono, in effetti, interessantissimi: uno di questi, che a me piace moltissimo, è il romanzo di fanta-politica intitolato "Contro-passato prossimo", nel quale si immagina che l'Italia perda la prima guerra mondiale. Vincono gli Austriaci, con una mossa militarmente abilissima: scavano un tunnel sotto lo Stelvio, aggirano così tutte le difese italiane e, scendendo lungo la Valtellina, dilagano per tutta la Pianura padana e costringono l'Italia alla resa. E' l'esempio, fra l'altro, di un genere letterario molto particolare, di una branca della letteratura fantastica molto amata negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone: la cosiddetta 'ucronìa'. A differenza dell'utopia, che individua un luogo che non c'è, questo termine indica 'un tempo che non c'è', o meglio una storia alternativa. Ci sono, in tal senso, gustosissimi esperimenti letterari, che non sono semplicemente dei giochi, basati sul 'che cosa sarebbe successo se…?'. Vengono raffigurati scenari piuttosto spaventosi, del tipo 'se Hitler avesse vinto la guerra…', oppure - in America – 'se la guerra civile l'avessero vinta i sudisti, cosa sarebbe oggi?…' E la fantasia si scatena. C'è un libro interessantissimo, uscito qualche anno fa, intitolato "Fatherland", di Robert Harris, in cui si immagina il mondo degli anni Sessanta, totalmente condizionato dall'ipotesi che Hitler abbia vinto la seconda guerra mondiale. Negli Stati Uniti del 1964 il Presidente è Joseph Kennedy – non John Kennedy, bensì il padre – un personaggio che, ai suoi tempi, fu abbastanza reazionario, filo-tedesco; era stato ambasciatore a Londra alla fine degli anni Trenta ed era contrario all'entrata in guerra dell'America, proprio perché era abbastanza filo-tedesco. Lui, quindi, e non il figlio, diventa presidente degli Stati Uniti… Sembrerebbero, appunto, solo giochi di prestigio letterario, invece servono a far riflettere. Ebbene, come si è detto, anche lo scrittore varesino Guido Morselli ci provò con questo romanzo "Contro-passato prossimo"; ma sono pochissimi gli esempi analoghi in Italia, manca una tradizione in tal senso. A me dispiace, perché un paese come il nostro, che comunque ha visto nascere grandi scrittori dell'immaginario – pensate all'Ariosto, al Tasso ecc.- sembra aver perso questo spirito: non nascono scrittori di fantasia, non c'è un Tolkien italiano, e lo dico con grande dispiacere. Sembra esserci alla fine un cinismo, una specie di aridità nei confronti della fantasia, dell'immaginario, o forse la paura di passare per scrittori 'di serie B'… In effetti, l'unico fra gli scrittori di cui abbiamo parlato questa sera che sia entrato nelle scuole è forse Orwell, l'unico al quale si conceda una patente di rispettabilità: gli altri sono etichettati, appunto, come scrittori 'di genere', scrittori goffi, strani, da lasciare ai margini, mentre sono dei grandi scrittori: i loro sono bei libri, libri degni di figurare negli scaffali di qualsiasi biblioteca; ma non fra i romanzetti di genere o nella fantascienza dozzinale, bensì fra i classici. Huxley, Benson, Chesterton, Burgess sono veramente da annoverare fra i classici.
Domanda – Mi collego a questo: pensavo a Bulgakov, a Buzzati, a Calvino… In qualche modo, seppur molto diversi fra loro, non hanno in fondo espresso qualcosa di analogo? In fondo, in "Uova fatali" o in "Cuore di cane" vi sono le stesse tematiche della scienza, della tecnologia, sempre riferite alla libertà dell'uomo; lo stesso Buzzati… Non sono assimilabili anche loro a questo filone che ha descritto? O forse ne sono proprio distanti?
Gulisano – Buzzati sì. Prima osservavo che non c'è un Tolkien italiano; in effetti, Buzzati è colui che più gli si avvicina, quanto meno per l'attenzione al mondo della fiaba, del mito, e anche per il fatto di immaginare scenari che non sono utopistici, ma sono ai limiti del paradosso - vedi "Il deserto dei Tartari" - e in cui la fantasia ha comunque un ruolo notevole. Calvino, invece, è certamente più scettico, disincantato; anche l'uso che fa dell'elemento fantastico, a mio avviso, è troppo smaccatamente allegorico. Gli autori citati questa sera non propongono delle allegorie: costruiscono e descrivono un mondo che, all'interno del romanzo, ha una sua piena coerenza. Quando descrivono i loro mondi, sono assolutamente seri, non stanno ammiccando al lettore, facendogli intendere che, tutto sommato, si sta scherzando, mentre il mondo reale è ben altro… No! Burgess, ad esempio, in "Arancia a orologeria" o nel "Seme inquieto", ci presenta un mondo perfettamente coerente, è attento anche al particolare, ai dettagli: quando si accende il televisore, appaiono quei programmi, quegli spot cui accennavo prima…e così via. Tutto è descritto con perfetta coerenza: nel momento in cui invento un mondo del genere, devo descriverlo nel romanzo come se fosse realmente esistente; non devo giocare col lettore, ma essere serio. Secondo me, anzi, il lettore questa serietà l'apprezza, perché si sente lui stesso preso sul serio. Calvino, invece, a mio modo di vedere, pur avendo una scrittura deliziosa, gigioneggia troppo con la scrittura stessa e col lettore. I suoi ammiccamenti fanno capire che, via, si sta scherzando; si parla esclusivamente per allegorie. Nelle storie di Burgess, di Benson, al contrario, non c'è nulla di allegorico: è sì una situazione immaginata, ma proposta in maniera assolutamente realistica. Uno si cala dentro la lettura, e si sente preso all'interno di questo mondo, come se esso fosse realmente esistente, al punto che sente anche tutti i problemi, i drammi e le angosce suscitate da quello che accade. A mio avviso i mondi che propone Calvino, sia nelle fiabe sia nei romanzi che definirei, appunto, allegorici più che immaginari – sono troppo dichiaratamente falsi per poter suscitare quella sana inquietudine che invece ti ingenerano tutti gli altri, compreso Buzzati.
Domanda – Volevo capire perché non ci ha parlato di altri film notevoli come "Blade Runner"e del libro da cui è tratto: "Cacciatore di androidi" di P.K. Dick; forse perché è troppo avanzato rispetto al nostro tempo?
Gulisano – Per due motivi fondamentali. Innanzitutto, ho dovuto necessariamente fare una scelta e puntare su determinati autori, altrimenti ci sarebbero volute almeno quattro ore per poter parlare di tutto quanto. Poi, perché, come ha già ben intuito lei, Dick ci proietta effettivamente molto più avanti. Invece, questo genere di 'utopisti' di cui ho parlato, hanno prefigurato un mondo non molto lontano dal loro, a volte avanti solo di pochi decenni: Burgess, ad esempio, sposta la situazione solo di trent'anni, ma già questo dà l'occasione per liberare la fantasia e prospettare quelle ipotesi a volte sorprendenti. Visto che molte delle inquietudini, delle intuizioni o degli spunti di questi scrittori si sono poi visti emergere nella realtà, ho voluto sottolineare loro anziché gli scrittori che si sono proiettati molto più in là. Inoltre, la scelta è dettata anche dal tipo di lettura che hanno dato del futuro che si immaginavano: terribile, inquietante, ma anche con dentro quella speranza che comunque l'uomo possa sollevarsi o, perlomeno, tentare di gridare, di affermare il proprio desiderio di libertà. Non voleva perciò essere una sorta di 'summa' della letteratura fantascientifica o, per meglio dire, di 'anticipazione', ma era una selezione di autori, quelli che, a mio avviso, sono i più significativi. A volte si riesce a fare letteratura di anticipazione addirittura guardando non dico indietro, ma ad un mondo 'parallelo', come ha fatto, ad esempio, Tolkien. Consideriamo come egli, che scriveva "Il Signore degli Anelli" a cavallo fra gli anni '40 e '50, descrive il modo in cui vengono generati gli 'urukai", ossia attraverso una sorta di manipolazione genetica: gli orchi, e il loro stadio evolutivo, gli urukai, non sono nati così, ma sono il frutto dell'intervento di Sauron sugli elfi, di un pervertimento della loro natura, la più bella che ci fosse sulla Terra di Mezzo, per trasformare loro, creature bellissime, in mostri. Con cinquant'anni di anticipo, pur non presentando una società del futuro, bensì quella di un passato mitico, Tolkien individuava questo problema che oggi ci troviamo di fronte, ossia la manipolazione genetica, la clonazione... Quello che c'è di bello in questa letteratura non è lo sforzo di essere il più possibile originale, ma di individuare le questioni fondamentali. L'interesse per questi aspetti ha motivato la mia scelta, del tutto personale; si potrebbero, certo, considerare molti altri grandi autori.
Domanda – La figura dell'Anticristo non è presa in considerazione da questi scrittori? Questo potere assoluto, questo totalitarismo soft, questo pensiero unico, non potrebbe essere assimilato, in qualche modo, alla figura dell'Anticristo di Solov'ev?
Gulisano – In Benson c'è questa figura, anzi viene indicata addirittura con nome e cognome: si chiama Giuliano Felsemburgh, che è un leader mondiale dalla grande attrattiva personale, un leader 'carismatico' che comunica sicurezza. Egli sembra essere colui che tutta l'umanità aspettava, in grado di convogliare verso la pace e il benessere, e poi, invece, si rivela apertamente come l'Anticristo. Qui ha un nome e un cognome. Anche in Orwell il Grande Fratello è una sorta di Anticristo, però è un potere impersonale, senza nome e senza volto: è semplicemente l'occhio che ti scruta ovunque vai, in tutti i momenti particolari della vita… Quindi è presente – eccome – questo aspetto, per parlare soltanto dei più significativi fra gli scrittori che hanno fatto trapelare la paura dell'avvento dell'Anticristo, pur sotto forme assai diverse. Potrebbero aver ragione tutti e due, poiché non sappiamo quale sarà l'evoluzione. Occorre stare in guardia rispetto a entrambe le modalità, sia rispetto al grande personaggio carismatico – per fortuna, adesso non sembrano esserci figure di questo genere nel mondo: siamo tornati, piuttosto, in qualche modo, ai personaggi terribili e mostruosi, come Bin Laden, a questi fantasmi che si aggirano – sia rispetto al grande potere impersonale, inafferrabile …
Enrica Pennati (Centro Culturale Talamoni) – Chiudiamo, dicendo soltanto una cosa che emergeva da tanti interventi: bene o male, ciò che accomuna queste visioni di mondi futuri, di poteri totalitari, è il tentativo di accattivarsi l'uomo, offrendogli una felicità esteriore, tutte le comodità possibili, eliminando le fatiche, i dolori e i dispiaceri, ossia anestetizzandolo, come giustamente diceva Gulisano… Quindi, il monito finale che possiamo trarne è che, comunque, il dolore, il buio da cui si cerca di evadere – come dice Eliot – va invece affrontato, fa parte della realtà dell'uomo, così come la malattia, e perfino la morte… Abbiamo, paradossalmente, il diritto di affrontarle, e nessuno ce lo può togliere.