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Zamjatin, Huxley, Orwell. La distopia totalitaria

Autore:
Maletta, Sante
Fonte:
La Nuova Europa 6. Nov.-Dic. 96
"All'assassinio di Dio", sostiene Voegelin nella citazione finale del saggio di Maletta, "non tiene dietro il superuomo, ma l'assassinio dell'uomo".

Mentre il vento rabbrividente delle Utopie ricomincia a soffiare qua e là nel mondo, sempre più urgente si fa la necessità di un giudizio chiaro sul pensiero utopico. A tale giudizio dà un contributo fondamentale il magistrale saggio di Sante Maletta, pubblicato dalla rivista bimestrale "La Nuova Europa" nel 1996.
Maletta, docente di filosofia e ricercatore presso l'Università di Cosenza, evidenzia dapprima l'ambiguità radicale del termine "utopia": esso, nato come "EU-topia" (il sogno di una società perfetta) con San Tommaso Moro, si trasforma poi nel suo opposto: la "DIS-topia", cioè una forma di società imposta violentemente a tutti in nome di un'astratta razionalità.
Distopia è anche la forma letteraria che nel Novecento descrive tali società repressive e totalitarie, e che ha i suoi giganti in Zamjàtin, Orwell ed Huxley.
Maletta esamina i tre scrittori, collegati da sempre con la letteratura fantascientifica:
ZAMJATIN nel suo capolavoro "Noi" descrive "i rischi di una società scientista e tecnocratica" nella metamorfosi dello scienziato spaziale D-503, che attraverso il rapporto con una donna prende coscienza della violenza dello "Stato Unico" e si unisce a un gruppo di ribelli.
ORWELL in "1984" con acutezza insuperata evidenzia la natura nichilistica del totalitarismo: il protagonista Winston Smith, sottoposto a tortura dal Grande Fratello, è costretto a rinunciare all'oggettività del Reale, dell'Essere, per negare la verità e la stessa evidenza delle cose.
In HUXLEY assistiamo alla rappresentazione di una "società totalmente pianificata di stampo scientista e tecnocratico", una sorta di "totalitarismo dolce" in cui l'uomo vecchio stampo, il Selvaggio, si scontra con il "Mondo Nuovo", basato sulla manipolazione delle masse e sull'ideologia edonistico-consumista, che rende gli uomini deboli e passivi.
Maletta analizza queste tre distopie cogliendone gli aspetti profetici, anticipatori rispetto alle analisi critiche successive della Storia e della Sociologia, ma mettendone anche in rilievo l'inadeguatezza: esse infatti prospettano come resistenza al totalitarismo un individualismo anarcoide ed istintivo. Se da un lato esse smascherano il fallimento delle Utopie (che da progetti di perfezione si tramutano in orrendi sistemi di repressione), se demitizzano il mito della "rigenerazione universale" entrato nel mondo occidentale con Gioacchino da Fiore, dall'altro non colgono che la risposta al totalitarismo può essere solo una società pluralista basata sull'appartenenza comunitaria agli enti intermedi, in primo luogo alla famiglia.
E' la Chiesa a costituire la barriera più adeguata all'utopismo e al suo figlio naturale , il totalitarismo, in quanto essa dà un giudizio sull'uomo che tiene conto di tutti i fattori, e in primo luogo del dogma del PECCATO ORIGINALE, che afferma che la creatura umana non è padrona del Creato e neppure della Storia; essa porta anzi con sé una ferita che rende "la vita in questo mondo sempre dolorosa e confusa" (L. Giussani).
"All'assassinio di Dio", sostiene Voegelin nella citazione finale del saggio di Maletta, "non tiene dietro il superuomo, ma l'assassinio dell'uomo".

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