1. Sfidare la morte: Frankenstein e Dracula
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La letteratura "di anticipazione" fra utopia e immaginazione

Fra gli scrittori che hanno prefigurato la società futura, alcuni nel Novecento hanno dato forma narrativa a possibili utopie moderne (ideologie, mito della scienza e della tecnica…). Essi hanno intuito, con la loro sensibilità tipica – lo scrittore, spesso, sa andare più in profondità di uno scienziato – alcuni possibili sviluppi ed esiti di tali società che possono rivolgersi contro l'integrità e la libertà dell'uomo. Ci sono sorprendenti analogie e riscontri fra quanto essi hanno narrato – pur usando la fantasia e, soprattutto, l'immaginazione – e la realtà, l'attualità sia del Novecento che dei nostri giorni. Paolo Gulisano è docente universitario di Storia della medicina, scrittore, saggista, profondo conoscitore e cultore sia della letteratura fantastica - e, in particolare, di Tolkien - sia della cultura celtica e anglosassone [Enrica Pennati].
Parte prima - Sfidare la morte: Frankenstein e Dracula
Alcuni anni fa eravamo in pieno nel periodo della trilogia cinematografica del "Signore degli Anelli" di Jackson e, quando vi parlai di Tolkien, cercai soprattutto di far capire che dietro questo film straordinario, c'erano un grande libro e un grande scrittore, e che questo scrittore, a sua volta, affondava le proprie radici culturali in un humus molto particolare: quello della letteratura inglese "di anticipazione", che ha una tradizione secolare, nonché nella grande tradizione del cattolicesimo inglese, una tradizione anche di martirio, di persecuzione. Nell'Ottocento, una volta decadute le leggi penali che avevano messo fuori legge e perseguitato la Chiesa per tre secoli, il cattolicesimo inglese, a partire dal personaggio più grande di questo ambiente, il cardinale John Henry Newman, diede una serie di esiti culturali straordinariamente significativi, di cui Tolkien è solo uno degli esponenti. Accanto a lui vi sono nomi come Chesterton, come Robert Hugh Benson, come Graham Greene e tanti altri, molti dei quali – e non a caso – sono stati anche scrittori del genere "fantastico", del genere, appunto, "di anticipazione", riprendendo una tradizione molto antica dell'Inghilterra.
Non parleremo solo di questi autori con una connotazione significativamente religiosa, ma anche di altri, che hanno scritto non rappresentando la realtà, bensì lavorando di fantasia, e prefigurandosi i mondi futuri. A differenza di Tolkien, che aveva immaginato un mondo passato, un mondo collocato in un tempo mitico, altri scrittori hanno invece guardato avanti, con una lucidità "profetica" addirittura impressionante. Noi parleremo soprattutto dell'Ottocento e del Novecento, di autori inglesi, ma anche di un autore americano – Ray Bradbury – che si colloca quasi naturalmente accanto ad essi: è esponente di un genere letterario, la fantascienza, considerato per lo più un genere specifico, di 'nicchia', di serie B… Questo autore ha raggiunto, invece, degli esiti veramente notevoli, anche dal punto di vista della qualità letteraria. Ma l'antenato comune di questi autori dell'Otto-Novecento, da cui non si può non partire, è senz'altro Tommaso Moro. Egli era un giurista, il cancelliere del Regno, un uomo concreto, realista, coi piedi ben piantati per terra, chiamato ad essere protagonista delle vicende politiche e civili del suo tempo. Ebbene, questo personaggio così saggio e colto, senz'altro uno dei maggiori eruditi dell'Europa del suo tempo, in grado di colloquiare con i maggiori intellettuali d'Europa, fra tutti Erasmo da Rotterdam, si dedicò anche ad un romanzo 'di anticipazione' – "Utopia" – un nome che ha dato, in seguito, il connotato a questo genere di libri. È un racconto in cui l'autore immagina un'isola, Utopia appunto, dove si vive un sistema sociale perfetto, quindi una sorta di scritto di 'fanta-politica', più ancora che di fantascienza o di genere 'fantastico', come diremmo oggi. E' una proiezione in cui, in qualche modo, il grande giurista cerca di immaginare i propri sogni realizzati. Tommaso Moro vide spezzare i suoi sogni non solo letterari, ma anche di un'Inghilterra rispettosa della libertà religiosa, quando finì decapitato, ucciso dall'odio e dalla persecuzione scatenata da Enrico VIII. Nel caso di Tommaso Moro siamo in presenza di un personaggio che aveva usato con sapienza il proprio talento narrativo, rinvigorendolo con una fantasia immaginativa assolutamente brillante, alla quale si aggiungeva anche la proverbiale dote dell'umorismo; ebbene, nel momento in cui finisce sotto la scure del boia, ancora una volta egli rivela una capacità di testimonianza, una profonda umanità e un senso dell'umorismo che, nella tradizione inglese, sono sicuramente sopravvissuti fino ad altri scrittori profondamente cristiani, come il grande Chesterton.
Ma, se Tommaso Moro è colui che, fra Quattrocento e Cinquecento, anticipa di qualche secolo la letteratura dell'immaginario, è nell'Ottocento che in Inghilterra questo genere propriamente nasce e fiorisce, con alcune opere che hanno avuto una certa fortuna letteraria e spesso anche un grande rilancio successivo da parte della cinematografia, un po' come è stato per "Il Signore degli Anelli". È il caso del "Frankenstein" di Mary Shelley, che è uno, anzi forse il primo, di questi romanzi 'di anticipazione'; esso ci presenta uno scenario inquietante, ma soprattutto uno scenario che anticipa, in una maniera incredibilmente profetica, quello che sarebbe accaduto tanto tempo dopo. La vicenda di Frankenstein è nota a tutti appunto per le trasposizioni cinematografiche, nella cui spettacolarizzazione ed esaltazione dell'aspetto più 'gotico', più horror, si perde però il contenuto del testo. In esso questa ragazza di vent'anni, Mary Shelley, aveva raffigurato un aspetto drammatico della modernità, anzi forse l'elemento più drammatico: il problema della morte. Uno dei meriti più interessanti di questo e di altri libri di cui parleremo, è che nascono in un momento culturale molto particolare: l'Ottocento vede il trionfo delle idee illuministiche, del positivismo, del metodo scientifico… Da sempre l'uomo cercava risposte a tutte quelle domande che erano nel suo cuore; le cercava e le trovava storicamente nella religione, nel cristianesimo, che dava un senso definitivo al bisogno di felicità, di sapere chi si è e da dove si viene e dove si va… Ebbene, nell'Ottocento, l'epoca del trionfo della macchina e della scienza, è altrove che si possono trovare queste risposte: la scienza e la tecnica pretendono di avere la risposta ad ogni domanda o bisogno dell'uomo, a tutto, fuorché ad una questione che sembra assolutamente ineliminabile e irresolvibile: la morte. La morte è proprio l'ultima sfida che lo scientismo non vuole perdere. Ed ecco questa ragazzina, Mary Shelley, immaginare appunto un tentativo di abbattere l'ultima barriera, quella della morte. In fondo, se l'uomo non è altro che una macchina (e, secondo lo scientismo e il meccanicismo l'uomo è soltanto una macchina), così come posso realizzare la macchina che funziona sempre e non si ferma mai, sostituendone i pezzi, posso fare altrettanto con l'uomo, creando un uomo-macchina destinato all'immortalità: se assemblo le varie componenti e le ricambio, posso ottenere un uomo perfetto che non muore mai… Il problema è che, invece, l'esito di questo tentativo non è questo tipo di uomo, ma un mostro. Ecco, la creatura di Frankenstein è mostruosa non perché è brutta, ma proprio perché l'esito di questa sfida lanciata alla natura e a Dio non è un uomo, bensì una mostruosità. È incredibile come dalla sensibilità di una giovane romantica ragazza inglese sia potuto uscire questo tipo di giudizio, di interpretazione del proprio tempo… Se, infatti, nell'Ottocento non sembra emergere alcun tipo di posizione in grado di contestare, di confutare le concezioni culturali dell'illuminismo, del meccanicismo e del positivismo, ecco che l'unico tipo di contestazione viene dalla letteratura, la quale sembra ricordare che certe barriere, certi limiti nella natura ci sono e vanno rispettati, perché, altrimenti, l'esito è la mostruosità. È quello che accade, ad esempio, in un altro celebre romanzo inglese dell'Ottocento, che poi ha dato luogo a fortunatissime versioni cinematografiche, ossia il "Dracula" di Bram Stoker. Questi, in realtà, era irlandese, di Dublino, ma di cultura inglese. Nella metà dell'Ottocento scrive questo romanzo, rifacendosi ad oscure e antiche leggende medievali della Transilvania, regione della Romania, ed elaborando il mito di Dracula; anche qui il tentativo, in fondo, è di vincere la morte. Se il dottor Frankenstein costruiva l'uomo-macchina servendosi della scienza, qui il tentativo di essere eterni, di vincere la morte non avviene grazie alla scienza, ma attraverso pratiche magiche, negromantiche, stregonesche: Dracula era un cavaliere, un principe valacco che aveva trovato il modo di continuare ad essere giovane, nutrendosi di sangue umano… Assistiamo in questo caso ad una magìa con motivazioni pseudo-scientifiche: nel sangue c'è l'elemento vitale, quindi, nutrendosi di sangue umano, questa creatura, ancora una volta mostruosa, riusciva a mantenersi eternamente giovane, pagando però un prezzo terrificante: la perdita della propria umanità. Questo tipo di racconto, classificato normalmente nel genere 'gotico' - questa particolare corrente all'interno del Romanticismo – poi è diventato il capostipite della letteratura cosiddetta 'horror'; si tratta, in realtà, di un romanzo di grande valore, perché ancora una volta è messa in gioco la questione di che cosa è l'uomo. La sfida di Dracula, come quella di Frankenstein, è una sfida lanciata all'umanità: quella di abbattere tutte le barriere naturali nelle quali l'uomo dovrebbe circoscrivere la sua esistenza. Questi sono alcuni segnali di tale letteratura 'di anticipazione' che mette le prime radici nell'Ottocento, cominciando a prefigurarsi determinati esiti dei processi scientifici in atto. Non è "letteratura della paura", anche se poi le versioni cinematografiche sono improntate soprattutto a sottolineare l'aspetto 'nero', terrificante, orrorifico… In realtà questi romanzi hanno comunque la capacità di interrogare la coscienza di chi legge e di mettere in guardia circa possibili esiti della modernità.