Le tre colonizzazioni di Marte
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Premessa
Lo scritto [1] (raccolta di racconti) nasce da una serie di lavori che Bradbury aveva pubblicato su vari giornali e riviste tra gli anni '40 e '50, e che hanno come sfondo una serie di tentativi, da parte dei Terrestri, di colonizzare Marte. Seppur rivista in diverse edizioni, ampliata e rinnovata attraverso la definizione di nessi più o meno apparenti tra i vari racconti, l'opera non può (e sicuramente non deve) essere considerata come un "romanzo mancato"; volutamente le Cronache sono costruite attraverso frammenti e storie autonome…
La scelta stilistica finale è chiara ed il titolo scelto dall'autore rafforza tale prospettiva: Bradbury, quasi un bardo con la responsabilità di consegnare ai posteri una serie di notizie o di fatti importanti riferiti ad un determinato periodo, dà vita ad una vera e propria narrazione storica. Crea un resoconto in cui sono posti in evidenza i fatti per lui di maggior interesse, riproducendo quasi il genere tipico della storiografia medievale. E così, da "buon cronista", dal fatto narrato fa emergere l'avvenimento (ciò che veramente è importante) o, tra i vari fatti possibili, ci consegna quelli che potenzialmente hanno una portata universale.
Le sue cronache mostrano il rigenerarsi di un mondo, pongono l'accento su quegli accadimenti particolari che, nella vicenda dei protagonisti, generano una nuova prospettiva o fanno sorgere nuove ipotesi di scelta; così facendo Bradbury offre all'esperienza la sferzante possibilità di non rimanere attraccata all'abitudine.
La fortuna iniziale di tale opera fu sicuramente legata al fatto di essere stata pubblicata in un periodo in cui la fantascienza era un fenomeno in piena espansione, sia grazie alla veloce evoluzione tecnologica, sia perché il clima da guerra fredda faceva guardare (forse) con più fiducia ad un futuro nello spazio che non a quello da condividere sul nostro pianeta in compagnia della solita rissosa umanità. Nonostante ciò le Cronache Marziane avrebbero comunque rappresentato un lavoro fondamentale per la nascita di una nuova fantascienza (a cavallo degli anni '50) e, allo stesso tempo, non avrebbero trovato alcun diretto rimando nella produzione fantascientifica successiva. Ci troviamo infatti di fronte ad un prodotto che potremmo definire "unico", anche se la novità non risiede certamente nel tema, quanto nella prospettiva e nella forma con cui Bradbury lo propone.
In Cronache Marziane nessun esotismo; nessuna artificiosità inutile (volutamente ed in maniera magistrale, l'autore non cede mai alla tentazione di spostare l'attenzione sulle meraviglie tecnologiche del futuro); nessuna mostruosità; nessuna aberrazione; unicamente la solare e cristallina descrizione di un mondo.
Attraverso l'esplorazione e la "colonizzazione" del pianeta rosso, Bradbury ci conduce dentro il nostro mondo. I vari racconti possiedono infatti la capacità di rimetterci dinanzi alla realtà che noi percepiamo quotidianamente nella sua interezza e quindi anche come custode e portatrice di simboli e rimandi [2]. Tra le scoperte più interessanti che ho fatto nel leggere le pagine delle Cronache vi è stata quella di riconoscere una capacità di scrittura riconducibile alla tradizione della narrativa americana del XX secolo. Mi sono imbattuto (piacevolmente e con stupore) in una descrizione della realtà (uomini, cose, eventi e natura) simile, dal punto di vista stilistico, a quella di Faulkner ma, allo stesso tempo, intrisa dello stesso provocatorio desiderio di interrogarsi sul mistero che essa porta, tipico della O'Connor [3].
Cronache Marziane rappresenta il prototipo della concezione che Bradbury ha della fantascienza: un pretesto per dare libero sfogo alla fantasia (ovvero alla capacità di fantasticare. In questi scritti l'uso del fantastico è mezzo di ricreazione del reale; non a caso nelle pagine, a volte drammatiche, che narrano la colonizzazione di Marte il "meraviglioso" è capace di non perdere mai di vista tutte le implicazioni umane, psicologiche e sociali che la realtà ha in sé.)
Forse è proprio per tale ragione che, sin dalla prima pagina dell'opera, si può percepire netta la sensazione che le due realtà chiamate in causa (quella terrestre e quella marziana) non possiedono come unico destino quello suggerito dalla logica: l'integrazione o la distruzione. Bradbury ci invita a pensare in altro modo: i due mondi (prima ancora di incontrarsi o scontrarsi) si illuminano reciprocamente. Forse il vero protagonista dei racconti è un soggetto bifronte che a volte ha sembianze terrestri, a volte marziane, ma che in sostanza vive un'unica esperienza: come si assomigliano il desiderio di nuovi spazi e avventure (dei colonizzatori) e quello di rimanere chiusi nel proprio mondo (dei Marziani) e come si sovrappongono gli atteggiamenti, le convinzioni, la natura dei due esseri se posti uno di fianco all'altro. Spesso nell'opera i Marziani ed i Terrestri più che incontrarsi direttamente si rispecchiano l'uno nell'altro: rovesciano l'uno sull'altro bisogni, incertezze, speranze.
Infine bisogna anche riconoscere che è ormai raro trovare un'opera in cui venga trasmessa con chiarezza una percezione positiva della realtà; in grado di analizzare e descrivere le capacità o i limiti dell'uomo con sincerità, senza scadere nel disilluso nichilismo; ma soprattutto dove vi sia il coraggio di indicare una strada per il superamento del limite [4].
Prima colonizzazione: l'avversità di Marte [5]
I marziani: "Avevano una casa a colonne di cristallo (…) ai margini di un mare vuoto, e ogni mattina si poteva vedere la signora K mangiare frutti d'oro che crescevano sulle pareti di cristallo, o ripulire la casa con manate di polvere magnetica, che, assorbita ogni sporcizia… Nel pomeriggio, quando il mare fossile era caldo e immobile, e le viti stavano irrigidite nell'orto e la lontana cittadina marziana, bianca e ossuta come un teschio, se ne stava tutta chiusa in sé, e nessuno usciva di casa… [6]" È la vita di tutti i giorni; è così vicino Marte che il Sig. K per non avere disturbo nella sua "quieta esistenza" ucciderà, senza rimorso quasi fossero zanzare i componenti della prima spedizione…
Il pianeta: "(…) Una languida luce crepuscolare pioveva giù dalle stelle e dalle lune, fulgidissime, di Marte. (…) nelle tenebre e nelle lontananze, erano sparsi paesi e ville; stagni dalle acque argentee occhieggiavano immoti e canali luccicavano dall'uno all'altro orizzonte (…). A monte e a valle dei canali di vino verde, battelli s'abbandonavano alla corrente, delicati come fiori di bronzo. Nelle lunghe sconfinate dimore che serpeggiavano serene attraverso le alture, amanti giacevano oziosamente sussurrando (…) [7]". Fantasia sì, ma quanta "Terra" in questa descrizione…
La speranza: "E gli uomini della Terra vennero su Marte. Vennero perché avevano paura, o perché non l'avevano, perché erano felici, o infelici (…). Ognuno aveva avuto le sue buone ragioni per venire su Marte. Cattive mogli da abbandonare, lavori ingrati, città inospiti; ed essi venivano su Marte per trovare qualcosa, o lasciare qualcosa, o ottenere qualcosa, o seppellire qualcosa, o lasciare una volta per tutte in pace qualcosa. Venivano con piccoli sogni, o sogni immensi, o niente sogni del tutto… [8]"
Anche la seconda spedizione [9] avrà un esito tragico: i terrestri non sono riconosciuti dai marziani; prima verranno internati in un centro di igiene mentale (poiché considerati pazzi) e poi uccisi.
Infine la terza spedizione: "(…) I feretri furono calati nelle fosse (…). La terra cadde martellando sui coperchi delle bare. La banda di ottoni, suonando Columbia, the Gem of the Ocean si pose in marcia per tornare a colpi di grancassa in città, e tutti si presero quella giornata di vacanza [10]" che si chiuderà drammaticamente con l'uccisione degli astronauti.
Seconda colonizzazione: "rinominare" non basta… [11]
Con il racconto Giugno 2001 - "...And the Moon be still as bright" si apre il secondo tentativo di colonizzazione. Pur narrando del successo della quarta spedizione (origine dell'insediamento definitivo), Bradbury inizia a porre dei dubbi sulla bontà, in generale, dell'intrapresa. Agli uomini il pianeta appare in rovina e completamente disabitato. Viene svelato il motivo della "scomparsa" dei Marziani: "(…) Che cosa li ha uccisi? (…) Morbillo. (…) Questo Pianeta è finito [12]" E di seguito Bradbury consegna il suo giudizio sull'operato dei Terrestri: "Sono tutte qui intorno a noi, le cose che sono state usate. (…) E non potremo mai usarle senza patire una sensazione di disagio (…) perché avremo dato loro nomi nuovi, mentre i vecchi rimangono, sussistono in qualche regione del tempo (…). I nomi che noi daremo (…) cadranno come acqua sulla schiena di un'anatra (…). Marte non riusciremo mai a toccarlo veramente. E allora ci infurieremo (…) lo strazieremo, gli strapperemo la pelle, lo cambieremo per adattarlo alle nostre esigenze (…)" Viene da chiedersi: se non sappiamo "fare cose nuove" cosa o chi può "fare nuove le cose"?
E poi gli uomini, ma soprattutto le donne come pionieri… come sempre: "Questi benedetti uomini, fanno le cose sempre più difficili (…). Una volta se una donna faceva duecento miglia per seguire un uomo era già un'impresa. Poi divennero necessarie almeno un migliaio di miglia. E ora hanno messo un intero universo tra noi e loro (…). Da ovest, da est, da nord e da sud le donne affluivano, accorrevano, coi cuori ben avvolti in carta velina nelle valigie (…) [13]".
Nel racconto Agosto 2002 - Incontro di notte (Night Meeting), Bradbury ci offre un esempio magistrale di come la capacità di fantasticare (il brano tratta di un incontro tra un terrestre ed un marziano) possa servire a descrivere (con notevoli chiarezza e lucidità) una fondamentale e caratteristica dinamica dell'esperienza umana: la conoscenza (del vero) come percorso, che però spesso è abbandonata solo per sfiducia… Il modo di rapportarsi dei protagonisti nel racconto è emblematico.
Inizialmente viene fissato un livello "ideale" su cui i due protagonisti si possano "riconoscere", la percezione del tempo: "(…) C'era come un odor di Tempo nell'aria, quella notte. Tomás sorrise all'idea, continuando a rimuginarla. Era una strana idea. E che odore aveva il Tempo poi? Odorava di polvere, d'orologi e di gente. E che suono faceva il tempo? (…) Si sentì venir la pelle d'oca (…) [14]".
Dall'idea astratta e a fronte dello spavento che essa suggerisce, si passa ad un livello più "circoscritto" su cui porre le basi della conoscenza, la percezione sensoriale: "(…) Le loro mani s'incontrarono e - come nebbia - si fusero una nell'altra (…)" Esperienza anche questa fallace (o meglio, non esaustiva) poiché i due esseri non entrano ancora in rapporto.
Finalmente è scoperto un livello "oggettivo", una esperienza comune: ""Le stelle" disse Tomás. "Le stelle" disse il marziano, guardando a sua volta Tomás Le stelle scintillavano nitide e bianche oltre la carne del marziano (…). Si potevano vedere stelle sfavillare come occhi violetti nel suo stomaco e nel suo petto (…). "Tu sei trasparente" gridò Tomás. "Anche tu!" disse il marziano (…)" Le stelle sono riconosciute da entrambi; da qui una svolta nel racconto e l'inizio di un dialogo vero tra i due.
Infine la conclusione del racconto: "Gran Dio che sogno è stato mai! Sospirò Tomás (…). Che strana visione ho avuto, pensò il marziano (…)" Come è vero che pesa di più la sfiducia nelle proprie incapacità che la possibilità aperta dall'esperienza.
Ma un'umanità così non è in grado di ricreare un mondo; può solo goffamente scimmiottare un modello già esistente: "(…) e imposero i loro nomi alle terre: Torrente Hinkston. Bivio Lusig, Fiume Nero, Foresta Driscoll, Monte Peregrine e Wildertown, nomi di persone e di cose fatte dalle persone. Là dove i marziani avevano ucciso i primi uomini della Terra sorse Civitarossa, ed era un nome che aveva a che fare col sangue. (…) e in ogni altro luogo in cui gli uomini dei razzi avevano portato i loro bastimenti di fuoco a bruciare il suolo, i nomi n'erano rimasti come ceneri (…) [15]".
Terza colonizzazione: i marziani [16]
Nel Novembre del 2005 scoppierà la guerra nucleare sulla Terra e Marte sarà abbandonato dai colonizzatori. Nel 2026 alcuni terrestri (una famiglia fuggita dalla guerra sulla Terra) ritorneranno sul pianeta rosso e lo troveranno meno desolato di come era stato lasciato. Bradbury chiude le Cronache con un nuovo inizio: "(…) Guardali, dove sono, i marziani disse il babbo (…). Laggiù i marziani? Michael incominciò a tremare. Erano là, i marziani, nell'acqua del canale, che ne rimandava l'immagine. Erano Tim, Mike, Robert, la mamma, il babbo (…)"
Conclusione
Bradbury ci ha regalato un'opera davvero unica: ogni pagina rende possibile lo stupore, poiché mette in campo la "distanza" tra l'ignoto dell'esperienza e la spinta alla conquista della conoscenza, ovvero la sfida più interessante a cui è chiamato ogni uomo; ed anche per questa ragione nelle Cronache Marziane si può riconoscere un freschezza narrativa unica nel suo genere. L'intuizione geniale dell'opera corrisponde al proiettare su Marte (consapevolmente) tutta la nostra umanità, affinché essa ed il pianeta rosso possano trasfigurarsi reciprocamente; in questo modo il Marte di Bradbury è diventato una delle creazioni più belle della fantascienza.
Note
1. Titolo Originale The Martian Chronicles. Edizioni italiane: Medusa, Mondadori 1954; Oscar Mondadori, 1975; Arnoldo Mondadori Editore 1980, 1998; Classici Urania 165, Mondadori 1990. Nel 1980, con la collaborazione dello stesso Bradbury, Michael Anderson ha tratto da quest'opera l'omonimo film; è comunque in cantiere (ormai da più di un decennio… ma senza evidenti risultati) una nuova versione, prodotta da Steven Spielberg, per la quale Bradbury sta abbozzando una sceneggiatura.
2. In generale tutti gli scritti di Bradbury, sono caratterizzati da un "lavorio simbolico"; poiché (Cfr. anche Introduzione all'edizione 2004 Gli Oscar Mondadori delle Cronache Marziane) "Bradbury ha capito che le invenzioni della fantascienza possiedono una carica fantastica tale da potersi trasformare in simbolo (…)", ovvero in oggetti o fatti capaci di evocare e mostrare una realtà più vasta di quella immediatamente percepita.
3. Vale la pena ricordare che F. O'Connor era cattolica, quindi il simbolismo da lei utilizzato possedeva lo scopo di rimandare ad una esperienza religiosa precisa. Per Bradbury che cattolico non è, si è scelto di utilizzare il termine "mistero"…
4. Spesso, i vari protagonisti dei racconti hanno davanti a sé la possibilità di differenti scelte…
5. È possibile raggruppare in questo momento i primi otto racconti che, cronologicamente, hanno come riferimento il periodo che va dal gennaio 1999 all'agosto del 2001: L'estate del razzo; Ylla; La notte estiva; I terrestri; Il contribuente; La terza spedizione; "... And the Moon be still as bright" ed I Coloni.
6. Tratto da Febbraio 1999 - Ylla (Ylla)
7. Tratto da Agosto 1999 - La notte estiva (The Summer Night)
8. Tratto da Agosto 2001 - I coloni (The Settlers)
9. Cfr. Agosto 1999 - I terrestri (The Earth Men)
10. Tratto da Aprile 2000 - La terza spedizione (The Third Expedition)
11. Cfr. i seguenti racconti: I coloni; Il verde mattino; Le locuste; L'immensità; Incontro di notte; La spiaggia; Le sfere di fuoco; Intermezzo; I musici; Su negli azzurri spazi; L'imposizione dei nomi; Usher II; I vecchi; Il marziano; La valigeria; Stagione morta; Tutti a guardare; Le città silenti; I lunghi anni; Cadrà dolce la pioggia.
12. Viene subito in mente la fine degli Indios e dei Pellirosse nel continente americano…
13. Tratto da Giugno 2002 - L'immensità (The Wilderness)
14. Esperienza che anche il marziano confesserà di aver provato…
15. Tratto da 2004/05 - L'imposizione dei nomi (The Naming of Names)
16. Cfr. il racconto Ottobre 2026 - La gita d'un milione d'anni (The Million-Year Picnic)