Ray Bradbury, occhi sgranati sulle stelle
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

Strano destino quello di Ray Bradbury, scomparso il 6 giugno 2012 all’età di 91 anni: apprezzato dai lettori “non specializzati” di Fantascienza; oggetto di malcelata diffidenza quando non addirittura di palese avversione sia da parte dell’ala più “hard” degli appassionati (che lo definiscono “un poeta”, prendendo le distanze dalle sue rarefatte atmosfere, dai suoi arabeschi stilistici, dai suoi patetismi un po’ fuori moda), sia da parte dell’ala più ideologizzata, che non riesce a digerire il suo costante riferimento ai valori del passato.
Eppure Ray Bradbury è un personaggio importante nella storia della FS: enfant prodige degli anni d’oro, ha traghettato molti lettori sulla riva sconosciuta del mondo “oltre la collina”, ricco di orizzonti inaspettati.
I suoi capolavori, come “Fahrenheit 451” e “Cronache marziane”, conservano un fascino ed una attualità insospettabili: rivelano un interesse genuino per l’immutabile umanità dei protagonisti, più che per i congegni mirabolanti e le astruserie tecnologiche; fanno brillare una ricerca stilistica non disprezzabile, sulla scia di Poe, Hawthorne, Hemingway.
Il sottofondo chiaramente avvertibile dell’opera di Bradbury è un grido di allarme sulla civiltà postbellica come si stava delineando nell’America degli anni Cinquanta del secolo scorso: in “Fahrenheit 451” (storia della conversione di un vigile del fuoco alla rovescia, incaricato di bruciare i libri in una società che vuole eliminare la memoria del passato) la rivolta è indirizzata contro la disumanizzazione, lo strapotere dei mass media, l’assassinio della vera cultura (“Ci mancano tre cose in questa società”, dice il vecchio Faber al protagonista Montag, “la verità della vita, il silenzio, la libertà di agire in base a ciò che crediamo”).
“Cronache marziane” è una parabola sul sogno americano, sulla “Nuovissima Frontiera” che le rosse sabbie di Marte rappresentano. Bradbury sembra qui cercare una chiave di lettura per la storia americana: anche Marte è la Terra Promessa, un luogo vergine, utopico, dove finalmente ricominciare daccapo; e anche qui si succedono le ondate dei colonizzatori: dapprima gli eroici esploratori, i pionieri; poi gli idealisti carichi di ottimismo; infine gli ottusi colonialisti, i meschini burocrati, gli avidi mercanti. L’arenarsi del mito, l’infrangersi del sogno sembrano una triste costante storica; finché giungono uomini senza potere, capaci di rivivere i valori marziani del passato e pronti quindi per poter costruire una nuova civiltà, finalmente umana.
Nel caleidoscopio di immagini multicolori, nel fragile intarsio di legni preziosi delle pagine di Bradbury riecheggiano parole ormai dimenticate, la nostalgia per la verità dell’uomo.