Milosz, Oscar V. - Miguel Manara

"Tutto è dove deve essere e va dove deve andare: al luogo assegnato da una sapienza che (il cielo sia lodato!) non è la nostra"
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Queste le parole conclusive del dramma sacro di Milosz, che affronta in modo poetico e perciò profondamente vero e affascinante, la vicenda tormentata del don Giovanni storico.
L'ardente cavaliere ci viene presentato proprio nel momento in cui l'insoddisfazione comincia a rodere: "Ah! Come colmarlo, quest'abisso delle vita? Che fare? Perché il desiderio è sempre lì, più forte che mai, più folle che mai".
Ma al culmine dell'insoddisfazione un incontro: Girolama Carillo de Mendoza. Poco più che adolescente essa ama i fiori ma non li recide per ornarsi come le altre fanciulle, perché "Si può benissimo amare, un questo mondo in cui siamo, senza aver subito voglia di uccidere il proprio caro amore, o di imprigionarlo tra i vetri (come si fa con gli uccelli) in una gabbia in cui l'acqua non ha più sapore di acqua e i semi d'estate non hanno più sapore di semi".
E' felice Girolama, felice della semplicità che custodisce il pudore di una giovinezza inconsapevolmente affascinata dal mistero della verità di sé: "mi dicevate poco fa che la mia vita era triste: non condivido affatto il vostro punto di vista. C'è la casa, c'è il giardino, e la lezione quotidiana, e i poveri. C'è molta, molta povera gente a Siviglia. Non ho il tempo di annoiarmi. E poi ci sono i libri (…) Non rimproveratemi questa tranquillità di spirito e di cuore: non trascuro nessuno dei miei doveri".
Nella sua semplicità e giovinezza Girolama accoglie Miguel Manara, pur conoscendone il passato, perché intuisce che nel cuore di lui quella scintilla immortale di bene non si è del tutto spenta, nonostante i suoi trascorsi così burrascosi e quasi immemori: "Non ho paura di voi" (…) "E le donne sanno bene quello che fanno, via, e non si lasciano prendere che quando Dio non è più nel loro cuore, e allora non vale più la pena di prenderle".
I due si sposano, ma dopo tre mesi Girolama muore: il dolore immenso per la morte di lei fa riaffiorare nel cuore di Miguel tutta la consapevolezza della orribile vita che ha preceduto la conversione: è come se il dolore per la perdita delle persona amata portasse con sé tutti i dolori veri della vita, li rendesse più pungenti. E quale dolore più atroce che quello del male che non si può annullare?
Ma il superiore del convento cui si presenta il giovane Miguel non censura nulla di tutto il suo burrascoso passato, perché comprende che il giovane vuole intensamente recuperare la verità di sé.
Miguel entra in convento con questa speranza di redenzione e potrà finalmente acquisire, da figlio del dolore, quella certezza che gli fa dire: "Io sono Manara. E colui che amo mi dice: queste cose non sono mai state. Se ha rubato, se ha ucciso: che queste cose non siano mai state! Lui solo è".
Questo in fondo è il destino di ogni uomo, più o meno malvagio, più o meno consapevole della propria meschinità: se ha la fortuna di incontrare chi glielo comunichi, prima o poi, capisce che quel che conta è soltanto il Fatto che Lui solo è.