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Mounier, Emmanuel - Lettere sul dolore

Si tratta di una raccolta di lettere scritte da Mounier alla fidanzata (e poi moglie) e agli amici, e anche ai genitori, che ci offrono delle veloci pennellate sulla sua profondissima religiosità negli anni tra il 1928 e l’anno della sua morte, 1950.
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Il dolore fa paura, forse fa più paura della stessa morte e noi non vorremmo mai averci a che fare. Ma è una realtà ineliminabile e dobbiamo fare i conti con essa.
Questa breve raccolta di “lettere” del filosofo del “personalismo”, Mounier, rappresenta davvero una “speciale compagnia” come dice il titolo dell’introduzione.

Si tratta di una raccolta di lettere scritte da Mounier alla fidanzata (e poi moglie) e agli amici, e anche ai genitori, che ci offrono delle veloci pennellate sulla sua profondissima religiosità negli anni tra il 1928 e l’anno della sua morte, 1950.

Il filo conduttore è comunque il dolore delle cose che non è un autocompiacimento estetico e in ultima analisi sterile, ma un profondissimo senso della misteriosità di un’esperienza in cui gioia e dolore si intrecciano fino a far coincidere dolore con dolcezza.

Moltissime sono le pagine che inchiodano il lettore all’inesorabilità dell’esperienza della sofferenza vissuta come attesa e insieme possibilità di pregustazione della salvezza: non si può non subirne il fascino misterioso tipico delle cose vere; e si sente il bisogno si assaporare e penetrare quelle verità nascoste della vita di ogni giorno che spesso ci lasciamo sfuggire.

Cito solo alcuni passaggi, ma ogni pagina è una miniera di verità che mi dispiace tralasciare, in questa breve presentazione di quello che dovrebbe essere una sorta di vademecum quotidiano:

“Le spiegazioni non diminuiscono il grande scandalo della sofferenza. La sua grandezza sta nell’accettazione. Non dobbiamo cercare di sminuirla con le nostre parole (...) si tratta di un segreto inquietante della Provvidenza. (...) Questo segreto si ripercuoterà, provocando stupore, nell’eternità. Ci sono quelli che Dio conduce sulle vie della ricchezza,altri (...) sulle vie del perenne insuccesso. Non ci resta altro che amare, amare Dio per quello che fa, e amare intensamente quelli che Egli spezza per amore. Io mi sento piccolo di fronte a loro” (pag. 43).

“L’angoscia, talvolta, si serve di noi(...) Ci sono dei momenti un cui anche i santi, improvvisamente dubitano di tutto: del loro amore e di Dio. Nessuna luce ci può essere data senza questa notte (...) Non si è veramente grandi... fino a quando la vita non ci mette alla prova rifiutandoci nettamente, senza appello, qualcosa cui si aspira con tutto il proprio essere” (pag. 45).

“Bisogna trasformare in gioia tutto quello che la felicità ci rifiuta (...) Insieme dovremo rendere belle le ore che ci saranno date. camminando per strada, poco fa, ho cercato di far gioire il mio cuore. Non è stato difficile. Mi è bastato pensare... che ogni sofferenza assunta in Cristo perde la sua disperazione, la sua stessa negatività! “ (pag. 50).

L’ultima struggente citazione è quella relativa alla sua bambina, Françoise, che un’inesorabile malattia ha reso quasi incapace di intendere:

“Che senso avrebbe tutto questo se la nostra bambina fosse soltanto una carne malata, in po’ di vita dolorante, e non invece una bianca piccola ostia che ci supera tutti, un’immensità di mistero e di amore che ci abbaglierebbe se lo vedessimo faccia a faccia; se ogni colpo più duro non fosse una nuova elevazione che ogni volta, allorché il nostro cuore comincia ad abituarsi al colpo prevedente, si rivela come una nuova richiesta d’amore” (pag. 61).

Mi fermo qui con le citazioni e lascio al lettore appassionato di significato tutto il fascino della scoperta di un modo diverso, e misteriosamente più umano, di affrontare la sofferenza.