Condividi:

Non può essere un «paese sbagliato»!

Fonte:
CulturaCattolica.it

Anche qui a San Marino sta per iniziare l’anno scolastico e, come ogni inizio, ci si aspetta sempre qualcosa. Ricordo che, quando insegnavo (e mi è capitato per quasi 40 anni) il primo giorno di scuola era sempre carico di una emozione grandissima. Erano gli occhi, miracolosamente quasi tutti, dei ragazzi, spalancati, come se volessero in qualche modo fissare un evento di novità, che poi, col tempo, purtroppo tendeva a sparire. Davanti a quegli occhi capivo che non potevo barare, non potevo tradire l’attesa, dovevo farmi compagnia del loro cammino, guardarli con simpatia, accendere in loro quello stesso entusiasmo che non mi ha mai lasciato di fronte agli incontri e alle opere dell’uomo, opere di conoscenza e di bellezza.
Quanti giovani della nostra Repubblica hanno sentito dal vivo le parole del Papa in quell’indimenticabile 10 maggio, a Roma: «Perché amo la scuola? Ho un’immagine del mio primo insegnante, quella donna, quella maestra, che mi ha preso a 6 anni, al primo livello della scuola. Non l’ho mai dimenticata. Lei mi ha fatto amare la scuola. Amo la scuola, perché quella donna mi ha insegnato ad amarla. Amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà. Almeno così dovrebbe essere! Ma non sempre riesce ad esserlo, e allora vuol dire che bisogna cambiare un po’ l’impostazione. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. E questo è bellissimo! Se uno ha imparato a imparare, questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà! Un altro motivo è che la scuola è un luogo di incontro. Perché tutti noi siamo in cammino, avviando un processo, avviando una strada.
E poi amo la scuola perché ci educa al vero, al bene e al bello. Vanno insieme tutti e tre. L’educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla».
Sono parole che impegnano tutti noi, non solo i giovani che frequenteranno le nostre classi, ma tutta la comunità civile, tutte le famiglie, perché i giovani hanno diritto di essere accolti, amati ed educati da autentici maestri. E costoro non si trovano solo nelle aule.
Di fronte a tante controtestimonianze che anche qui in Repubblica feriscono l’animo dei giovani, dobbiamo saper proporre una bellezza e una verità che affascinano, un po’ come è stato quell’incontro con Simona Atzori nella Veglia dei Giovani, insieme al nostro Vescovo. Una bellezza che sappia fare piazza pulita di stereotipi pseudo-culturali che a volte inquinano l’animo dei ragazzi.
E per questo bisogna che anche i genitori, in un serio e sereno contatto con i docenti, si assumano le loro responsabilità, come ricorda questa splendida poesia di Tagore: «Da dove sono venuto? Dove mi hai trovato? / Domandò il bambino a sua madre. / Ed ella pianse e rise allo stesso tempo e stringendolo al petto gli rispose: / tu eri nascosto nel mio cuore bambino mio, / tu eri il Suo desiderio. / Tu eri nelle bambole della mia infanzia, / in tutte le mie speranze, / in tutti i miei amori, nella mia vita, / nella vita di mia madre, / tu hai vissuto. / Lo Spirito immortale che presiede nella nostra casa / ti ha cullato nel Suo seno in ogni tempo, / e mentre contemplo il tuo viso, l’onda del mistero mi sommerge / perché tu che appartieni a tutti, / tu mi sei stato donato. / E per paura che tu fugga via / ti tengo stretto nel mio cuore. / Quale magia ha dunque affidato il tesoro / del mondo nelle mie esili braccia?» (Tagore, Maternità)
Abbiamo già ricordato quanto un educatore recentemente scomparso scriveva nel suo libro programmatico Il paese sbagliato. Così dice Mario Lodi, e non possiamo voltare la testa da un’altra parte, se amiamo i nostri giovani, consapevoli che sono la nostra speranza: «Ricevere dai genitori i figli in consegna per educarli mi ha sempre dato un senso di sgomento. Anche stamane mi chiedevo: se questi genitori fossero liberi di scegliere la persona che educherà il proprio figlio come sono liberi di scegliersi il medico, il sarto, il parrucchiere, l’assicuratore, verrebbero da me? In una scuola che avesse come fine la formazione integrale e senza traumi del fanciullo, la scelta del maestro, o meglio dell’indirizzo pedagogico, dovrebbe essere il primo argomento da discutere fra genitori e insegnanti all’atto dell’iscrizione. Invece non se ne parla nemmeno, come se la scuola fosse la proprietaria dei bambini.
La maggioranza dei genitori purtroppo accetta le cose come stanno perché così la scuola è stata per loro come lo fu per i nonni: qualcosa di immutabile in cui il bambino, dopo l’esperienza dell’autorità paterna, passa sotto quella del maestro, il quale gli insegna che si troverà sempre sotto qualcuno che gli traccerà il suo destino. Milioni di croci nei cimiteri di guerra di tutto il mondo ci dicono quale destino hanno avuto uomini ai quali la scuola non aveva insegnato che in certi casi si può, si deve dire di no.
E qui siamo al nocciolo della questione, alla scuola così fatta per formare uomini-servi invece che uomini liberi.»

Vai a "Articoli per Tribuna"