Dal niente, una impresa nuova
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"L'esperienza della Chiesa è simile a quella di un bimbo nel ventre della mamma: è cullato dal suo respiro. Allo stesso modo, quanto tempo ognuno di noi trascorre nella condizione di morte, di abbandono? Eppure c'è sempre il respiro della Chiesa che ti culla, che è pronta ad abbracciarti. Questa esperienza riconosciuta genera una fecondità nuova, ti trovi a fare cose che mai avresti pensato di intraprendere". Lorenzo Crosta, seduto in prima fila, ascolta la testimonianza di sua moglie Marcella - unica donna della sua vita, come lui è solito dire -. Ricorda quando l'abbraccio di cui lei parla è diventato carne e ossa, ha preso un volto: quello del suo amico Pippo Ciantia. Ricorda con precisione l'ora e il luogo: l'1.30, sotto il campanile di Venegono, in provincia di Varese. Pippo l'aveva invitato a un incontro, organizzato dal Movimento popolare, sulla condizione giovanile.
Era nata una discussione accesissima che avevano continuato sotto le finestre della casa del parroco che a un certo punto, forse per potere finalmente dormire, si era affacciato e aveva detto: "Ma perché non guardate a un punto in comune?". È stato l'inizio di un riconoscimento, del dire "sì". "Avevo 21 anni - racconta Lorenzo -. Da poco avevo incontrato queste persone. Anzi, Pippo lo vedevo in oratorio... ed era odioso e per di più di Cl. Lui, studente di medicina, mentre io frequentavo le scuole serali per diplomarmi e lavoravo in fabbrica. La mia giornata si divideva tra lavoro, lotte sindacali e militanza nella sinistra extraparlamentare. La mia vita era una lotta, dove non era ammessa possibilità di errore. Volevo cambiare il mondo. La Chiesa, poi, era per me una cosa lontanissima. Andavo a messa, giusto per non dover litigare anche su questo con i miei genitori. E quel prete mi dice di guardare a un punto in comune. Ma quel punto non era un nuovo progetto politico, non era qualcosa partorito dalla mia testa. Era quel volto lì. È cambiato tutto. Per la prima volta ho percepito cosa potesse significare la parola misericordia, perdono. Su di me, di qualcuno su di me.
Quell'inquietudine negativa, che provavo in quegli anni di turbolenza politica, si è tramutata in una domanda che è viva ancora oggi. Così ho cominciato a fare Scuola di comunità insieme a Pippo ed altre venticinque persone. Che, a dir il vero, per focosità assomigliava molto a un collettivo di sinistra".
Noi vogliamo lavorare
In quegli anni Lorenzo inizia il gesto della caritativa, prima seguendo un ragazzo affetto da distrofia muscolare, poi al centro professionale per disabili "La nostra famiglia", a Castiglione Olona. "Guarda, non è che io avessi la predisposizione verso gli handicappati. Tutt'altro! È che a Scuola di comunità si parlava di missionarietà. E quei ragazzi erano per noi la provocazione più immediata. E poi, poi Pippo mi aveva appena comunicato l'idea di partire in missione. Ed io? Cosa veniva chiesto a me? La risposta erano proprio quei ragazzotti che a volte mi indisponevano, mi infastidivano, mi chiedevano cosa avrebbero potuto fare nella vita. Ancora una volta l'abbraccio della Chiesa mi ha stretto".
Nel 1980 Pippo si sposa e parte per l'Uganda. Nell'81 Lorenzo e Francesco decidono di mettere in piedi un'impresa. Casualmente ne parlano con la direttrice de "La nostra famiglia" che fa loro la proposta: "Prendete in considerazione l'idea di far lavorare per qualche ora qualcuno di questi ragazzi". "Proviamo".
A volte accade che un imprevisto faccia diventare la vita creativa. È la prima tessera di un mosaico che non è ancora finito.
Dopo tre mesi i ragazzi vanno da Lorenzo e gli dicono che vogliono andarsene. Lorenzo è esterrefatto, domanda il perché. "Qui con voi diventiamo più scemi di quello che siamo. Noi vogliamo lavorare". "E noi non vi facciamo lavorare?". "No, io voglio imparare il lavoro che fai tu". "Mi hanno levato la carne di dosso - ricorda Lorenzo -. Ma avevano ragione. Cercavano un rapporto e soprattutto la dignità di un lavoro. Io e Francesco abbiamo deciso di iniziare tutto daccapo".
Il 7 gennaio 1982 viene costituita la Cooperativa Solidarietà. Capitale sociale: 110.000 lire. Soci: Lorenzo, Francesco e Angelo. Per non gravare economicamente sulla ditta Lorenzo e Francesco mantengono i loro impieghi dandosi il cambio nell'angusto locale di 150 metri quadrati vicino alla stazione ferroviaria di Venegono. Solo Angelo lavora stabilmente insieme ai disabili. Per non perdere commesse, per trovare nuove clienti i tre soci non perdono un minuto del giorno e della notte, compreso il sabato e la domenica. Si inventano le attrezzature di lavoro adeguate ai loro ragazzi. Nell'85 i dipendenti sono 40. Tutti disabili, chi affetto da sindrome down, chi epilettico, chi colpito da disturbi mentali. Il lavoro aumenta e così Lorenzo e Francesco devono lasciare i propri impieghi e si buttano nella Cooperativa. A questo punto c'è necessità di una nuova struttura. Il mosaico ha bisogno di un nuovo pezzo.
Una nuova casa
"Non volevo solo un capannone più grande. Cercavo un posto dove i ragazzi si potessero fermare a dormire. Un vero luogo di accoglienza. Serviva una casa. Un giorno invito il parroco di Venegono Superiore a celebrare una messa. Rimane colpito. Mi dice che in paese ci sarebbe la struttura adeguata. Costo: 280 milioni. Faccio un giro per le banche. Niente da fare". La domenica successiva il parroco, durante l'omelia, parla del progetto, dà tutte le cifre e invita i parrocchiani a collaborare. Lorenzo si arrabbia. Tanto, pensa, è inutile. "Io sono convinto che qui la Provvidenza ci mette la mano", lo incalza il parroco. Passa una settimana e Crosta riceve una telefonata: "Sai quanto abbiamo raccolto?". "Dieci milioni? Troppo?". All'altro capo del filo una voce esultante: "120! Metà a fondo perso e la rimanenza da restituire quando ci saranno, senza interessi". A quel punto si può stipulare un mutuo con la banca per saldare la cifra. Nell'85 parte la comunità alloggio. L'abbraccio della Chiesa si allarga. Si rende visibile a tutto un paese.
"Frate questuante"
Il lavoro va bene. Arrivano commesse considerevoli. Il mutuo è quasi pagato. Manca solo una rata da 40 milioni. Lorenzo comincia a fare il "frate questuante" tra le aziende del varesotto. "Non mi sono mai vergognato. Siamo sempre vissuti di carità, quella che ha la faccia della Provvidenza. Le diecimila della vecchietta piuttosto che l'assegno del grosso imprenditore". Alla fine si rivolge ad un industriale che già in passato gli aveva dato una mano. Un solo pensiero quando varca la soglia dell'ufficio: da qui non esco senza quei soldi. È l 'ultima opportunità. Nella testa scorrono il volti dei suoi ragazzi. Comincia la discussione: l'industriale non ne vuole sapere. Alla fine Lorenzo: "Se le dicessi che è un affare conveniente?". "Lo farei. Ma cosa mi torna in tasca?". "Immediatamente nulla. Ma io le garantisco che sarà contento". Non vola una mosca. Poi rivolgendosi al segretario: "Mi porti il blocchetto degli assegni. Il mio, personale. Non quello della ditta. Visto che qui ci va di mezzo la mia felicità...".
Due anni dopo, nell'87, pochi giorni prima di Natale, Lorenzo si ripresenta dallo stesso imprenditore: "La cosa è cresciuta. È bellissima. Ora ho bisogno di due miliardi. Devo comprare una casa. Non voglio più lasciare i ragazzi la sera con l'educatore. Vogliamo andare a vivere, la mia famiglia e quella di Francesco, in un cascina e portare con noi i ragazzi. Avranno una famiglia. Non lo faccio solo per gli handicappati, voglio condividere tutto con i miei amici. Il posto l'ho già individuato. E una cascina a Malpaga dove si allevavano i cavalli". "Tu sei pazzo! E questa volta perché dovrei darteli?". La risposta è secca: "Per Cristo". Altrettanto decisa la replica: "Vattene!".
Tu sei pazzo!
Il 7 gennaio l'industriale lo richiama: "Malpaga l'ho comprata. Ma per me. Invece, vai a vedere un'altra proprietà a Malnate. Poi fammi sapere". Lorenzo non se lo fa dire due volte. "La Novella", questo il nome della proprietà, è l'ideale, ma necessita di molti lavori di ristrutturazione. Lorenzo prende in mano il telefono: "È perfetta! Ma non la voglio". "Ma allora tu sei proprio pazzo...". "Aspetta. Non la voglio in regalo, ma in uso. Per questo devi pensare tu alla ristrutturazione. Tu ne rimani il padrone". In primavera le due famiglie traslocano a "La Novella" insieme a nove ragazzi.
Il mosaico si arricchisce di nuovi tasselli. È un disegno che prende sempre più forma. Le unità produttive aumentano, tutte nell'alveo della Compagnia delle Opere, che dell'impresa messa in piedi da Crosta è punto di riferimento ideale e operativo: due a Vedano Olona, due a Milano, una a Paullo, una a Verano Brianza con le Cooperative Dell'ulivo e Il Carro. Si moltiplicano anche il numero delle persone coinvolte: più di 300 dipendenti. A Inarzo, sempre in provincia di Varese, una ricca signora ha donato una proprietà di 50.000 metri di terreno, dove da due anni si è costituita una nuova comunità alloggio con due famiglie. E poi in progetto ci sono Bresso, Carate Brianza, Sicilia,... fino dove si estende l'abbraccio della Chiesa. "Dove la Provvidenza ci vorrà portare".
Un fotografo che per un servizio fotografico era andato a "La Novella" e nell'unità produttiva di Vedano, ha detto: "Viene voglia di mettere il tappo all'obbiettivo. Di fermarsi. Per guardare questa presenza nuova, così tangibile. Non più sconosciuta".