Valutare: riconoscere che la persona dell'alunno è un valore - 2
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La valutazione è quindi anche l’esito della motivazione che il docente dà alla sua professionalità, è un giudizio sulla globalità della persona del ragazzo superando due equivoci: la misurazione e la parcellizzazione.
Valutare non è:
* misurare la capacità di risposta del ragazzo come se fossimo ad un “lascia o raddoppia” scolastico, perché egli non è un piccolo computer che deve rispondere a comando;
* parcellizzare, cioè ridurre il ragazzo ad una testa che deve immagazzinare una serie di contenuti e nozioni di cui deve rendere conto, perché il ragazzo è una totalità di corpo, fantasia, cuore, intelligenza e non si può giudicare solo un frammento della sua persona. Per esempio: può darsi che il ragazzo non abbia capacità mnemonica e si ritrovi invece doti di astrazione e di creatività. Il docente deve essere in grado di valutare anche gli altri aspetti della fisionomia del ragazzo, ma, per far questo, diventa indispensabile conoscerlo, rischiare un rapporto con lui, scendere dal piedistallo della cattedra se non si vuole ridurre l’alunno a ripetitore più o meno scaltro. Per conoscerlo, diventa necessario praticare quotidianamente un confronto con i colleghi e parlare con i genitori perché i bisogni, gli interessi, le esigenze e le capacità di apprendimento, che costituiscono la totalità della persona dell’alunno, diventino incontrabili e conoscibili con l’aiuto di tutto il soggetto educante. Quindi, stabilito che il contenuto della valutazione è la globalità della persona del ragazzo, sostenuti dal coraggio di un giudizio critico sulla nostra professionalità, affrontiamo l’operazione del valutare, sapendo che essa implica, alla radice, un atteggiamento molto delicato: il realismo.
Etimologicamente valutare significa “dare valore a …”; cioè nel nostro lavoro è necessario non dimenticare che l’alunno è unico, irripetibile, è un “tu” diverso dagli altri “tu” presenti nella classe, ha una dignità che non deve essere mai mortificata. L’alunno non può mai essere definito dal suo insuccesso scolastico, perché non sono mai la nostra o la sua fragilità che ci definiscono; noi siamo più del nostro limite. Questo significa dare valore alla persona del ragazzo. Con lui si ricomincia sempre da capo, ogni giorno. Se non va bene in una materia, magari ha successo in un’altra, quindi il docente deve tener conto di questa positività e, a partire da essa, ricomprendere l’alunno in uno sguardo cordiale. Valutare è anche recuperare il vero senso del termine “giudicare”, che oggi ha subito due tipi di riduzione:
a) un’operazione dai connotati negativi, qualcosa che desta timore come se si fosse convocati in un’aula di tribunale,
b) al contrario, non si giudica più nessuno o non si deve giudicare perché la libertà e la storia di una persona sono inviolabili. Se l’alunno sbaglia, deve essere solo “capito” altrimenti lo si traumatizza (poverino!) e così, senza giudizio, tutto diventa relativo…
Giudicare invece è:
“Guarda! stai uscendo dal sentiero, o hai scelto il sentiero sbagliato, quindi rischi di perderti o di rendere vano il tuo cammino. Te lo dico perché anch’io ho fatto questo errore e mi sta a cuore che tu non lo ripeta, quindi facciamo il sentiero insieme per arrivare alla meta”.
Il giudizio è una cordiale compagnia al destino dell’alunno, una compagnia che gli permette di vivere l’avventura della conoscenza, lo si accompagna offrendogli un metodo (metà-odos - lungo la strada) affinché impari nozioni e valori necessari per affrontare con coraggio la complessa drammaticità del reale.