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Le grandi domande – “Domenica alla frontiera” di Sidney Ward

Fonte:
CulturaCattolica.it
Il tema religioso è sicuramente frequentissimo nei racconti di FS, ma molti critici incasellano in questa categoria soprattutto opere ad esplicito contenuto “confessionale”, e segnatamente racconti e romanzi dove si parli (quasi sempre in modo negativo) del futuro della Chiesa. Vi è invece un filone assolutamente trascurato, che riguarda le radici del senso religioso: le domande radicali sull’esistenza e sul suo significato. “Domenica alla frontiera” ne è un esempio impressionante.

Che cos’è la “frontiera”? E’ il limite, il confine sull’ignoto e sul mistero. Immaginiamo, tra migliaia di anni, un Universo ormai completamente esplorato dall’uomo. Il diario di un uomo del 20.000 d.C. sarebbe una cronaca un po’ annoiata dei week-end spaziali, nei quali “uscire di galassia è diventato un problema difficile”. Proprio questa è l’intuizione, tra l’ironico e il meditativo, di Sidney Ward (pseudonimo di un autore italiano, Franco Lucentini, che cedeva così al vezzo esterofilo per inserire un suo breve racconto nella classica raccolta “Il secondo libro della Fantascienza” pubblicato da Einaudi).
Con gusto tipicamente italico, Ward-Lucentini nella prima parte descrive questi fine settimana così simili ai nostri, se non fosse per i Rapidi a Raggio Totale e l’overdrive (procedimento per superare la velocità della luce). Ma dove vanno tutti, tutte le astronavi private e tutti i Rapidi R.T.?
“Io non lo so. Da una parte mi pare impossibile che la gente, passata la prima curiosità, continui a sobbarcarsi ogni settimana un viaggio simile: dai gruppi di galassie dell'interno, anche coi nuovi Rapidi a R.T., ci vogliono ancora un tempo e una spesa non indifferenti. E per vedere che cosa? Praticamente niente.” Dove va quindi la gente, nei week-end del futuro? Alla Frontiera, al confine dell’Universo. Dove da vedere non c’è nulla.
“...alla frontiera. E lì, non c'è ragionamento che tenga: uno ha davvero l'impressione che potrebbe continuare all'infinito, dritto davanti a sé, come ai vecchi tempi dell'avventura e delle scoperte: senza più niente da scoprire, magari, ma intanto camminando, viaggiando, andando sempre più lontano...Invece, poi, lo spazio finisce lì; finito il mondo, finito lo spazio: si sa. E quei campi scuri che si vedono, quei punti chiari che ti sembra di vedere, non è niente che ci sia davanti: è solo il riflesso di quello che hai dietro, e che resta proiettato lì, perché lì la luce si ferma. Come si fermano le altre radiazioni. Come si fermano i missili e le cosmonavi. Come si ferma tutto. Tranne quella ridicola espansione che sembra portarti avanti, e invece ti lascia eternamente lì appiccicato alla frontiera: di qua dalla frontiera. E va bene. Di là non ci si può andare. Di là non si vede niente. Di là non c'è niente. Ma di qua, che cosa c'è? Quattordici o quindici supergruppi di galassie, sempre gli stessi, ciascuno con lo stesso numero di gruppi; e ciascun gruppo, più o meno con le stesse spirali e gli stessi Soli, con gli stessi pianeti e la stessa gente; tutti posti sempre più brutti e affollati, dove uno è passato e ripassato mille volte. E allora, è possibile che non ci sia nient’altro?”
“Is that all?” cantavano gli U2 in “October”. E’ la domanda radicale sulla realtà.
“Già: per possibile, è possibile. Ma la gente - è questo, che volevo dire - si rassegnerà mai, a credere che non ci sia altro? Domenica scorsa, invece di guardare davanti a me, guardavo gli altri accanto a me: arrampicati da tutte le parti, contro la frontiera...” Inquietum est cor nostrum...

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