"Noi" di E. Zamjàtin: il capolavoro dell'antiutopia
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Zamjàtin, Evgenij, Noi (My, 1922), Universale Economica Feltrinelli, Milano, 1990(3), pp.155.
I dati biografici di Evgenij Ivanovic Zamjàtin, originario di Lebedjàn nella Russia Centrale, ci presentano una personalità inquieta e solitaria, con una forte inclinazione tecnico-matematica unita ad una grande passione letteraria. Studiando costruzioni navali al Politecnico di Pietroburgo, Zamjàtin entrò in contatto con l'opposizione bolscevica, e vi aderì. Bolscevico Zamjàtin non lo fu per molto; paradossalmente fu proprio la Rivoluzione d'ottobre con gli avvenimenti successivi a suscitare la sua delusa repulsione per il tradimento della speranza di novità che stava sfociando nella sua forma definitiva di uno Stato totalitario. L'opera in cui Zamjàtin manifestò le proprie preoccupazioni per il rapido degradarsi del sogno utopico lungamente accarezzato, e che costituì la pietra dello scandalo, tanto da fargli meritare l'appellativo di "emigrato interno" (termine che corrisponde all'odierno "dissidente") fu il romanzo My (Noi), concepito nel 1918/19, scritto nel 1920/21, e mai pubblicato in Unione Sovietica, prima della caduta del muro di Berlino: "Viviamo l'epoca della soffocazione della personalità in nome delle masse... L'uomo muore. Il superbo homo erectus si mette su quattro zampe... Il valore della vita umana cade a precipizio... Non si può più tacere! È tempo di gridare: l'uomo è fratello dell'uomo!". Questo è il "manifesto umano" di Zamjàtin, che lo scrittore trasfonde puntualmente nel suo romanzo, con una "presunzione" vertiginosa: quella di volgere indietro lo sguardo da un futuro remotissimo (la storia è ambientata verso l'anno Tremila) per impedire al presente la stessa sorte. Noi (il titolo indica la spersonalizzazione del collettivo che - come dice A. Zinov'ev - unifica milioni di piccoli "io" in una massa amorfa ed indistinta) è il diario di D 503, un ingegnere dello Stato Unico, la forma di governo che da un millennio ormai domina la Terra. Lo Stato Unico - governato dal Benefattore e vigilato dai Guardiani secondo leggi ferree e una costrizione rigorosa, di cui sono emblema le Tavole delle Ore, scansione millimetrica del tempo personale - è un mondo di vetro: case, strade, edifici pubblici sono trasparenti, per togliere ai "numeri" (così sono chiamati uomini e donne) ogni residuo di intimità personale. Una cupola traslucida - il Muro Verde - rinchiude lo Stato Unico nella propria asettica tecnologia. D 503 si rivela dapprima un entusiasta sostenitore dello Stato Unico; ma pian piano si insinuano nella sua lucida razionalità - che tutto giustifica con sillogismi e formule matematiche, in contrapposizione al brutale, caotico mondo antico - degli elementi di dubbio e di crisi (paragonati a un "pelo di ciglio nell'occhio"). D 503 comincia così una specie di viaggio interiore, una Divina Commedia sui generis: dal “Paradiso terrestre” dell'utopia totalitaria alla tempestosa riscoperta della vita e della libertà. Beatrice di questo viaggio è un "numero femminile", I 330, di cui D 503 si innamora, e che fa parte di un'organizzazione segreta tendente a rovesciare la dittatura del Benefattore. D 503 in un angoscioso processo di riconversione alla vita rimette in discussione le proprie convinzioni e finisce per unirsi ai ribelli, i quali nel frattempo sono passati all'azione, rifiutando la plebiscitaria farsa della rielezione forzata del Benefattore, e facendo esplodere il Muro Verde, dal quale si precipitano in città masse di uccelli. Ma il sistema totalitario ha sferrato a sua volta l'offensiva finale, costringendo tutti i "numeri" ad un'operazione chirurgica che li priverà della fantasia: l'ossequio allo Stato Unico sarà ancor più freddo e devoto. D 503 viene arrestato e lobotomizzato; catturati anche in seguito alla sua delazione, i ribelli, tra cui I 330, vengono giustiziati dalla Macchina del Benefattore. Con questo straordinario romanzo Zamjàtin ha posto in modo perentorio le coordinate definitive dell'antiutopia: un tentativo di risposta ideologica al problema umano cui si contrappongono le domande eterne dell'uomo: "Se potessi sapere che cosa c'è là, più in su del cielo. E se potessi sapere chi sono io, che cosa sono!". "Ma là, dove finisce il vostro universo finito, là, che cosa c'è oltre?". La pubblicazione all'estero di Noi costò a Zamjàtin l'ostracismo del mondo letterario e politico sovietico, tanto che nel 1931 egli si rassegnò a scrivere a Stalin chiedendo di poter emigrare: "Un condannato alla massima pena... si rivolge a Voi con preghiera di commutargli tale pena.... Per me, come scrittore, è una condanna a morte la privazione della possibilità di scrivere e le circostanze sono tali che io non posso continuare il mio lavoro... ". Grazie all'appoggio di Gor'kij, Zamjàtin poté lasciare l'Urss, e si recò a Parigi dove morì nel 1937. Orwell ebbe sicuramente tra le mani il testo di Noi, e ad esso si ispirò per il suo 1984. Ma nel frattempo c'erano stati Hitler e Stalin... Zamjàtin, scrivendo nel 1920, anticipava con chiaroveggenza una delle affermazioni emblematiche del dissenso in URSS: "Noi siamo il vostro futuro".