L’offensiva in Medioriente
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
«Il pugno di ferro porta solo nuova violenza»
«Fermare le armi, garantire gli aiuti e permettere agli sfollati di rientrare nelle loro abitazioni»
Intervista di Camille Eid.
«Le soluzioni unilaterali non portano alla pace. E il pugno di ferro non fa altro che alimentare il fondamentalismo».
Ne è convinto il gesuita Samir Khalil Samir, islamologo di fama internazionale e direttore di un centro di studi arabo-cristiani a Beirut, raggiunto telefonicamente in Germania.
Si parlava di un imminente cessate il fuoco da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu, poi è arrivato il «no» di Israele.
«Sarebbe stato un ritorno al buon senso. Al vertice di Roma è stato, infatti, commesso il grave errore di ribaltare le priorità. Anzi, alcuni Paesi hanno dato l’impressione di non essere tanto ansiosi di imporre il cessate il fuoco prima di vedere Israele conseguire sul terreno alcuni risultati militari”.
E quale sarebbe, secondo lei, l’ordine delle priorità?
Anzitutto, fermare il conflitto attraverso un cessate il fuoco definitivo e non di 72 ore per motivi umanitari, come qualcuno proponeva.
Secondo, rendere possibile e sicuro l’accesso al Libano con la riapertura di porti e aeroporti per convogliare gli aiuti urgenti e permettere agli sfollati di reintegrare le loro abitazioni.
Ciò presuppone parallelamente un controllo severo da parte di una forza multinazionale delle frontiere libanesi, sia quelle con la Siria per impedire l’arrivo di nuove armi, sia quelle con Israele per bloccare ogni azione militare. Il cessate il fuoco non deve fornire l’occasione a nuovi preparativi di guerra.
Infine, avviare l’accordo politico. L’unico accordo capace di impedire una nuova vampata di violenze è un accordo che affronti le questioni aperte tra Israele e Libano nella loro globalità.
Cosa intende dire?
Che solo un progetto di pace multilaterale può funzionare. Israele si era ritirato dal Sud del Libano nel 2000 in maniera unilaterale, poi ha ripetuto l’esperienza a Gaza l’anno scorso. Ma queste soluzioni non hanno portato alla pacificazione. Chi si ritira unilateralmente sottintende di essere lui a decidere se e quando rientrare. Questo è inaccettabile.
La soluzione globale deve perciò prendere in considerazione la questione delle fattorie di Shebaa, dei detenuti e della deviazione dei corsi d’acqua.
E questa soluzione politica potrà disinnescare la questione Hezbollah?
Israele ritiene che solo con la forza potrà piegare Hezbollah e Hamas, Ma si sbaglia. La forza brutale non fa altro che alimentare il fondamentalismo, che ha origini politiche, sociali, economiche e, beninteso, anche militari. L’uso della sola forza ha dimostrato in Iraq tutto il suo fallimento. Non dimentichiamo che l’Hezbollah è in qualche modo “figlio” dell’invasione israeliana del Libano nel 1982. Forse si potrà sconfiggere, ma il germe rinascerà in futuro sotto un’altra forma. È un processo simile a quello degli insetti che riproducono le parti del corpo tagliate.
Come vede il “nuovo Medio Oriente” perorato dal segretario di Stato americano Condoleezza Rice?
Ammetto che talvolta da un male possa nascere un bene. Penso alla solidarietà portata dai libanesi cristiani ai loro connazionali sciiti. Le catastrofi portano una carica tale da risvegliare la coscienza dei popoli.
Questa mi sembra un’occasione per affermare che non ci sarà pace al di fuori della legalità internazionale e del riconoscimento reciproco dei diritti di tutti i popoli del Medio Oriente.
Come immagina il suo rientro in una Beirut che aveva lasciato bella e prospera?
Sarà terribile. Mai la città aveva subito così tante distruzioni.