"Siamo ostaggio di Israele e Hezbollah"
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Padre Samir, oggi il popolo libanese torna a rivivere l’incubo della guerra. Cosa domina l’animo dei palestinesi: disillusione, paura, rabbia?
Faccio un esempio concreto: la mia segretaria, che è una bravissima cristiana non politicizzata, mi ha scritto esprimendo una tremenda rabbia contro Israele benché lei sia una convinta oppositrice di Hezbollah. Lei ha sintetizzato la situazione in un modo che mi ha molto colpito: Israele per due ostaggi prende in ostaggio tutto il Libano. Questa semplice formulazione mi sembra descrivere la situazione reale. È ovvio che Israele non agisce solo per i due ostaggi che sono in realtà un pretesto come è avvenuto per il caso del soldato rapito a Gaza. In nome della sicurezza di Israele e della sua sopravvivenza tutto sembra servire da pretesto per distruggere i vicini. Al punto che io dico: lotterei con tutte le forze per la sicurezza di Israele, ma mi domando: Israele ha davvero così tanto bisogno di sicurezza? In cambio vorrei almeno la sicurezza dei suoi vicini: palestinesi, libanesi e siriani.
Dunque giudica sproporzionata la risposta di Israele?
In sette giorni quasi il 20 per cento della popolazione libanese è stata costretta alla fuga. Una situazione del genere non c’è stata neanche durante la guerra civile. Una violenza estrema e cieca. Quando sento Olmert dire: «Noi vogliamo solo sradicare il terrorismo di Hezbollah» io mi domando: «Per colpire Hezbollah c’è bisogno di distruggere l’intero Paese?».
Ma lei che giudizio ha sull’operato di Hezbollah?
Ho sempre combattuto Hezbollah, fermandomi alle prese di posizione s’intende. Per me la posizione di questo partito è inaccettabile e sono convinto della necessità di applicare la risoluzione 1559 dell’ONU che prevede la smilitarizzazione totale di tutte le formazioni militari del Paese. Purtroppo, però, in questa circostanza Hezbollah ha suscitato nella popolazione più simpatia che disapprovazione. Ma va detto questo: anche se Hezbollah avesse avuto ragione a provocare Israele (e secondo me non ha avuto ragione) strategicamente ha compiuto un’idiozia. L’esito della sua provocazione, infatti, sono stati centinaia di morti e soprattutto la distruzione di un Paese che da quindici anni ha lavorato per la ricostruzione dopo la guerra civile. L’unica fonte economica era il turismo: ora gli stranieri sono tutti fuggiti e chissà quando potranno tornare. La situazione del Paese è catastrofica.
La comunità internazionale ha sempre detto di essere vicina alle sorti del Libano, ora sembra averlo abbandonato. È così?
È vero. A parole il Libano ha sempre suscitato una reazione piuttosto positiva presso la comunità internazionale. Ma cosa vuol dire essere vicini a un Paese? In politica non servono tante parole, ciò che conta sono i fatti. Nell’immediato la proposta europea e dell’ONU di mandare una forza internazionale per garantire un cessate il fuoco mi sembra quella più sensata, ma temo che occorrerà molto tempo perché questa iniziativa si possa realizzare. Israele è deciso ad andare avanti e pretende di avere il diritto a farlo.
Perché secondo lei?
Gli Stati Uniti continuano a sostenere Israele incondizionatamente e, in un certo modo, lo ha fatto anche l’intero G8 perché non c’è stata una condanna netta dell’azione di Israele, ma solo la condanna dell’eccesso della reazione. Il problema non è l’eccesso, ma il principio stesso. Non si può prendere qualunque cosa come pretesto per fare una guerra. C’è una differenza di natura e non di grado tra una provocazione come quella di Hezbollah e una guerra con bombardamenti, navi, aerei e militari sul campo. Il Libano non ha messo in campo un esercito, anzi il governo di Beirut non era neanche al corrente dell’iniziativa di Hezbollah. Perché sulla frontiera sud ci sono sempre stati degli attacchi reciproci.
C’è una soluzione a questa situazione?
Nell’immediato ci vuole urgentemente il cessate il fuoco e le forze dell’ONU. Ma la guerra ricomincerà certamente alla prima occasione. Finché non ci sarà una soluzione internazionale multilaterale (e non unilaterale com’è stato per il Libano e per Gaza), non ci sarà mai pace. Questa soluzione non può che essere basata sull’applicazione della risoluzione 242 che esige il ritiro di ognuno dentro le frontiere internazionali, seguita dalla risoluzione 1559 che esige la smilitarizzazione di tutti i gruppi libanesi (e dunque di Hezbollah). E ciò significa che i paesi arabi devono riconoscere Israele come stato definitivo nelle sue frontiere internazionali, e Israele deve riconoscere i stati palestinese e siriano come stati definitivi nelle loro frontiere internazionali, con scambi di ambasciatori. Solo allora la pace sarà possibile.
Come vive questa situazione, in particolare, la comunità cristiana?
La comunità cristiana in questo momento non ha possibilità di rifugio. I musulmani in fuga in altri paesi si trovano in un contesto musulmano (la Siria è un paese laico solo a parole). La comunità cristiana diventa ostaggio in questi Paesi ed è per questo che molti decidono di partire per l’Europa o l’America. Il problema è che la gran parte dei cristiani che emigra in Occidente poi non fa ritorno in Libano. La nostra comunità uscirà da questa guerra ancor più indebolita soprattutto perché la violenza terrorista - è innegabile - è tutta di stampo islamico. Una volta di più sono i cristiani a pagare il prezzo maggiore della violenza in Medioriente.
Chiese e monasteri hanno aperto le porte ai profughi...
Sì, inoltre sono stati aperti a qualsiasi profugo lo richieda, indipendentemente dalla religione. E questa è una bella testimonianza umana. Non si tratta di solidarietà tra cristiani, ma reale solidarietà umana.
Luca Fiore