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Pasolini in Friuli 14 – La morte del fratello Guido (118)

Autore:
Chieco, Mariella
Fonte:
CulturaCattolica.it
Per Pier Paolo e Susanna, Casarsa sarà la terra del "non ritorno": Guido è già morto, assassinato, non per mano di Tedeschi, ma di altri partigiani comunisti che hanno teso un'imboscata al gruppo della Brigata Osoppo.

“(...) passano gli ultimi mesi di guerra ciascuno impegnato come può nella lotta per cacciare il tedesco arriva il trionfante aprile
del Quarantacinque ed in armi torniamo al paese ferito ma liberato per sempre al prezzo di giovane sangue
(...) non torna Guido dalle colline di Cividale (...) non ci può essere consolazione nemmeno a Versuta
”. (119)

In casa Pasolini, il canto della cinciallegra nella primavera del 1945 sembra preannunciare la fine della guerra e il trionfante ritorno di Guido. La primavera casarsese sarà culla di pace per la riconquistata libertà, invece, per Pier Paolo e Susanna, Casarsa sarà la terra del "non ritorno": Guido è già morto, assassinato, non per mano di Tedeschi, ma di altri partigiani comunisti che hanno teso un'imboscata al gruppo della Brigata Osoppo. Il giovane partigiano muore combattendo con commovente coraggio per liberare il Friuli dalle “offese degli Slavi”. (120)
La notizia della morte di Guido arriva a Casarsa parecchie settimane dopo la fine della guerra e getta Pier Paolo in uno strazio senza fine:

La disgrazia che ha colpito mia madre e me , è come un'immensa, spaventosa montagna che abbiamo dovuto valicare (...). Non posso scrivere senza piangere, e tutti i pensieri mi vengono su confusamente come le lacrime. Dapprincipio non ho potuto provare che un orrore, una ripugnanza a vivere (...). Ora l'unico pensiero che mi consola non è l'idea che bisogna essere saggi, che bisogna superare e rassegnarsi; questa rassegnazione è egoismo; è crudele, disumana. (...) Bisognerebbe essere capaci di piangerlo sempre senza fine(...)”. (121)

Se pur incapace di fronte alla morte, verso la quale prova un'insormontabile “difficoltà d'infinito” (122), Pasolini sa che occorre vivere, o meglio «il faut tenter de vivre»:

“(...) per quale ragione non si sa (ossia non lo saprei, se non dovessi scrivere versi) (...)”. (123)

Ancora una volta, Pasolini, da ergastolano della propria vocazione trova nella poesia l'unica àncora di salvezza; parallelamente alla vocazione poetica, Pier Paolo riprende ad insegnare nella scuola privata di Versuta, «benché questo sembri inumano». Riprendere l'attività didattica dopo dieci giorni dalla notizia della morte del fratello, invece, ci sembra l'atteggiamento più umano di chi vuole, nel dolore insormontabile, affermare il positivo lì dove c'è.
La morte di Guido non può placare la sua disperata vitalità; Pier Paolo è profondamente «infelice, ma non annoiato», perché «la vita ha un senso preciso, ed è il suo essere infinito».(124) Proprio perché infinito, il suo essere non può accontentarsi di una sterile e limitante staticità; occorre tentare una strada, occorre rilanciarsi nella realtà, non come su un "bateau ivre" rimbaudiano, bensì con la coscienza, con una domanda drammatica ma sempre più urgente.

Ora tutto questo amore che quel ragazzo aveva per me e per i miei amici, tutta quella sua stima per noi e per i nostri sentimenti (per i quali è morto) mi tormentano sempre; vorrei poter contraccambiarlo in qualche maniera”.(125)

NOTE
118. «Ta la sera ruda di Sàbida / mi contenti di jodi la int / fór di ciasa ch'a rit ta l'aria. / Encia me cór al è di aria / e tai me vuj a rit la int / e tai me ris a è lus di Sàbida. / Zòvin, i mi contenti dal Sàbida, / puòr, i mi contenti da la int, / vif, i mi contenti da l'aria. / I soj usàt al mal dal Sàbida», in P. P. PASOLINI, Tutte le poesie, tomo I, cit., p. 112. Trad.: "Nella nuda sera del sabato / mi accontento di guardare la gente / che ride fuori di casa nell'aria. / Anche il mio cuore è di aria / e nei miei occhi ride la gente / e nei miei ricci è la luce del sabato. / Giovane, mi accontento del sabato, / povero, mi accontento della gente, / vivo, mi accontento dell'aria. / Sono abituato al male del sabato".
119. BRUNO BRUNI, Il ragazzo e la civetta, cit., p. 16.
120. Cfr. Lettera dal Friuli, cit., p. 212. Pasolini si riferisce alle mire espansionistiche di Tito su parte dei territori friulani.
121. A Luciano Serra, Casarsa, 21 agosto 1945, in PASOLINI, Lettere 1940-1954, cit., p.197
122. Cfr. Atti impuri, in P. P. PASOLINI, Romanzi e racconti 1946-1961, tomo I, cit., p. 150.
123. A Franco Farolfi, Versuta, 22 agosto 1945, Lettere 1940-1954, cit., p. 204.
124. Cfr. ibid., p. 203.
125. A Luciano Serra, Versuta 21 agosto 1945, Lettere 1940-1954, cit., p. 201.