Pier Paolo Pasolini, una disperata passione 3 - Di fronte a Cristo
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Il rapporto tra Pasolini e il fatto cristiano è complesso: sembra apparire e svanire, ma non si perde mai, come un filo intessuto in profondità nella trama di tutta la sua storia.
Pasolini, da ragazzo, come egli stesso continuamente testimonia (e a dire il vero tutti riconoscono), è stato sicuramente cristiano e cattolico, con un'adesione lancinante, anche se, pensiamo, istintiva piuttosto che maturata nella consapevolezza, alla Chiesa e soprattutto alla figura di Cristo.
“La mia religione era un profumo / [...] Eppure Chiesa ero venuto a te. / Pascal e i Canti del Popolo Greco / tenevo stretti in mano, ardente, [...] Tra i libri sparsi, pochi fiori / azzurrini, e l'erba, l'erba candida / tra le saggine, io davo a Cristo / tutta la mia ingenuità e il mio sangue” (“La religione del mio tempo” (1957-'59) in La religione del mio tempo, Garzanti 1961, pagg. 77-108).
Nonostante le innumerevoli esperienze successive del poeta e il suo esplicito rifiuto del cattolicesimo, Cristo rimarrà comunque e sempre per Pasolini il modello esistenziale e teorico di fondo, l'origine culturale indubbia di quel rifiuto della frattura tra ideologia e vita, di quel “gettare il proprio corpo nella lotta”.
“Bisogna esporsi (questo insegna / il povero Cristo inchiodato?), / [...] noi staremo offerti sulla croce, / alla gogna, tra le pupille / limpide di gioia feroce, [...] miti, ridicoli, tremando / d'intelletto e passione nel gioco / del cuore arso dal suo fuoco, / per testimoniare lo scandalo” (“La crocifissione” (1948-'49) - ne L'usignolo della Chiesa cattolica, Longanesi & C, 1958).
Nella sua riflessione-imitazione del Cristo «esposto», proprio all'inizio del suo cammino, Pasolini aveva segnato - o si era lasciato segnare - un marchio indelebile nella carne: un modo d'essere, un metodo cioè, di tutto il proprio discorso-prassi.
In particolare il binomio scandalo-follia (dalla famosa frase di S. Paolo, 1a lettera ai Corinti, 1-23: “Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, follia per i Gentili”) è un’ espressione che ricorre nelle sue pagine, applicata alle proprie o altrui esperienze come criterio di misura della validità autentica di gesti, parole, fatti artistici (ciò che è vero si pone sempre come “scandalo e follia” rispetto al sistema sociopolitico, o al codice di linguaggio esistente).
Pasolini non ha sempre forse valutato appieno l'incidenza proprio teorica del fatto cristiano nella sua opera; d'altro canto sembra ad intermittenze ricordarlo. Pensiamo (oltre al “Vangelo secondo Matteo” e al densissimo periodo di riflessioni sulle Scritture, che lo precedette) al continuo riaffiorare del tema nei suoi testi, ed infine alle dichiarazioni degli ultimi anni fatte alla stampa o in televisione: in queste il poeta parla del Cristo come del “più alto archetipo di umanità mai esistito”, la contestazione, la “RESISTENZA” più radicale che si possa immaginare alla grigia orgia di cinismo, conformismo massificato, odio razzistico per ogni “diverso” che costituiscono la società attuale (sono parole sue, cfr. Il Giorno, 6 marzo 1963).