La storia
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Vi sono una serie di notizie certe sulla Sindone di Torino che la fanno risalire a Goffredo di Charny, in Francia a Lirey dal 1353 circa. È poi semplice ricostruire la storia successiva.
Ciò che diventa difficile è ricostruire quella anteriore a tale data.
Quasi tutti gli storici sono concordi nell’ipotizzare che il telo provenisse da Costantinopoli, saccheggiata nel 1204. Da questo saccheggio provengono moltissime reliquie in occidente (26).
La domanda è allora sul periodo precedente: vi sono tracce del telo di Torino prima del XII secolo?
Due sono i dati storici fortemente discussi:
- il ritrovamento a Edessa di una immagine non-fatta-da-mano-d’uomo (Achiropita), rappresentante Gesù: la salvezza della città dall’assedio dei Persiani di Cosroe nel 544 venne attribuita proprio alla presenza di quest’immagine.
- Il trasferimento nel 944 di tale immagine a Costantinopoli dove sarebbe stato possibile vederla distesa (come testimonia Robert de Clari e Nicholas Soemundarson) (27).
La tesi è dunque che il volto venerato a Costantinopoli - detto Mandillion - fosse in realtà una Sindone ripiegata in modo da mostrare ordinariamente solo il volto.
Il codice Scilitze mostra tale immagine (Mandillion) prima a Edessa e poi il suo arrivo a Costantinopoli.
L’ipotesi - molto controversa - è l’identificazione di tale Sindone con quella oggi a Torino.
Gli storici sono alla ricerca di particolari che permettano una più precisa identificazione (28).
Alla ricerca storica viene in aiuto anche l’iconografia: a partire dal ritrovamento dell’immagine Edessena tutte le raffigurazioni, le icone, devono attenersi ad un “originale non dipinto da mano d’uomo”; in esse Cristo viene rappresentato con caratteri sostanzialmente identici al volto sindonico, non solo nel volto ma anche nel corpo (assenza delle orecchie, ciuffo di capelli, occhi diseguali, bocca piccola, barba bipartita...). Dall’osservazione della diversa lunghezza dei piedi nasce e si diffonde l’ipotesi che Gesù fosse zoppo (da cui il suppedaneo storto nelle croci orientali). Tale idea è presente persino nelle immagini di Maria e Gesù Bambino ed è stata ritrovata nelle monete del IX secolo.
Ora il problema è semplicissimo: è la Sindone che noi possediamo a Torino ad aver influenzato l’iconografia (e dunque è il telo di Edessa poi trasportato a Costantinopoli) o è l’iconografia che ha influenzato la produzione del “falso” lino che oggi ammiriamo?
La tesi di Papini è chiarissima:
“Sembra quindi si debba concludere che la Sindone di Torino è stata prodotta in Anatolia, nell’Impero bizantino, da un «laboratorio» appositamente attrezzato, verso la fine del XIII secolo, con l’intento preciso di creare una «reliquia». Infatti, il metodo originale di produzione dell’immagine per strinatura (ignoto in Occidente) aveva lo scopo preciso di consentire alla «reliquia» di superare le severe prove (le «ordalie»), cui essa veniva sottoposta a quei tempi per accertare che non fosse dipinta. Si tratta di un reperto, ormai unico nel suo genere, e quindi di grande interesse storico-artistico, che meriterebbe di essere ospitato ed esposto in permanenza in un Museo delle antichità (29).”
Così, invece, conclude il suo studio Bollone:
“Si sono visti gli argomenti a favore della sua genuinità vale a dire dell’ipotesi che si tratti di un antico lenzuolo funerario giudaico, addirittura della Sindone di Gesù, e quelli contrari, con le confutazioni che sono state avanzate.
L’insieme dei dati si commenta da sé. Va tuttavia osservato che la Sindone, comparsa nel 1353 a Lirey, possiede alcune caratteristiche davvero singolari. Contiene immagini corporee negative con inversione di lato e della tonalità di grigio. Nessun falsario poteva anticipare di cinque secoli il concetto di negativo, fenomeno che sarebbe divenuto noto soltanto con la scoperta della fotografia cinque secoli più tardi, in pieno ‘800. Nessun pittore a conoscenza del fenomeno è riuscito a dipingerla, simulando la negatività delle immagini. Contiene l’informazione della terza dimensione che manca non solo ai dipinti, ma anche alle consuete istantanee fotografiche. Contiene infine informazioni invisibili ad occhio nudo, ma identificabili soltanto con l’ingrandimento fotografico o con l’elaborazione elettronica tridimensionale, come ad esempio avviene per talune particolarità anatomiche e per la presenza sulle palpebre di due rare monetine del 29 d. C., identificate dalla numismatica moderna e sconosciute e comunque indisponibili in epoca medioevale.
Questi elementi e l’insieme delle altre caratteristiche, che si armonizzano con le conoscenze archeologiche, portano alla conclusione che la Sindone è il lenzuolo funerario di un giudeo contemporaneo di Gesù messo a morte esattamente come indicato dalla narrazione dei vangeli.
Alcuni studiosi sono ancora più espliciti. Essi partono da alcune caratteristiche che provano il contemporaneo verificarsi di una serie di evenienze inconsuete quali, ad esempio, l’avvolgimento e la breve permanenza del cadavere nel lenzuolo, l’essere stato applicato al condannato un casco di spine, l’essere egli stato inchiodato e non semplicemente legato alla croce, la presenza di una ferita al costato inferta dopo la morte, la mancata fratturazione delle gambe ed il fatto che il cadavere non sia stato lavato. (...)
Al di là di questi calcoli ritengo che il complesso degli elementi riportati e discussi nei capitoli che precedono consentano al lettore un personale bilancio degli argomenti a favore e contrari alla autenticità della Sindone, portandolo alla convinzione che si tratti davvero di un reperto che proviene dall’epoca di Gesù e dal medesimo ambiente. In altre parole, Sindone sì (30).”
Molte cose andrebbero ancora elencate, come per esempio tutto il dibattito esegetico intorno ai testi del Nuovo Testamento per verificare se veramente si parla di Sindone come lenzuolo oppure no (31).
Preferisco fermare questo indice di temi e problemi perché mi sembra dimostrata l’idea che la Sindone non solo ha retto l’impatto con la scienza, ma ha rilanciato la sfida. Cosa sia la Sindone non è però determinato solo dal dibattito scientifico.